2014-05-15 17:00:00

Divorzio breve. Cardia: dequalifica il matrimonio


“Una dequalificazione dell’istituto del matrimonio”. Così il costituzionalista Carlo Cardia commenta l’approvazione, ieri, in commissione Giustizia della Camera, di un testo sul divorzio breve. Il provvedimento, votato a larga maggioranza, approderà a Montecitorio il prossimo 26 maggio e riduce i tempi della separazione dai tre anni previsti attualmente  a dodici mesi, in caso di contenzioso, o a soli sei mesi, in caso di accordo consensuale, indipendentemente dalla presenza o meno dei figli. Paolo Ondarza ha intervistato lo stesso Cardia:

R. - Diciamo che è un po’ trend, no? Bisogna fare una riflessione su ciò che sta accadendo all’istituto del matrimonio nelle legislazioni occidentali: stiamo andando verso una dequalificazione dell’istituto matrimoniale, di cui quest’ultimo passo è probabilmente il sigillo. Immaginiamo nella realtà: una persona celebra un matrimonio sapendo che dopo sei mesi, massimo un anno, questo matrimonio può essere sciolto. Ecco, questo è un elemento psicologico fondamentale che la legge non solo agevola, ma consacra: si può concepire il matrimonio come una porta girevole; io entro, ma dopo due passi posso girare e uscire di nuovo. È il frutto di una dequalificazione complessiva del matrimonio che poi – noi sappiamo –, raggiungerà – ed in alcuni Paesi ha già raggiunto altri lidi, altre sponde, addirittura con la deformazione dell’istituto matrimoniale. Pensiamo a quello che di recente è accaduto in Francia, e ancora prima negli Stati Uniti, in Inghilterra ...

D. - Fa riferimento al “matrimonio per tutti”?

R. - Le mariage pour tous, come dicono i francesi. Il matrimonio sta diventato una variabile indipendente agganciata esclusivamente alla volontà delle parti.

D. – Dequalificazione dell’istituto del matrimonio che tuttavia resta – secondo la Costituzione italiana – il fondamento della società ...

R. – Resta il fondamento della società, ma se posso dire, anche la famosa formula dell’Art. 29 della Costituzione che recita “La famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, viene depotenziata in questa maniera. Riflettiamo un attimo. Fondata sul matrimonio: ma è un fondamento quello che può essere sciolto dopo sei mesi? Ecco, questa è una domanda. È una società naturale quella che - in Italia ancora non c’è, ma le proposte sono tante -  dice che il matrimonio è per chiunque, qualunque sesso abbia? Questa è un po’ una riflessione amara, però oggettiva, che bisogna fare su questo indirizzo complessivo che sta avvenendo nelle legislazioni di molti Paesi occidentali, non di tutti. E’ bene ricordare che non solo per la Costituzione italiana, ma anche nelle carte internazionali dei diritti umani c’è scritto che uomini e donne hanno diritto di sposarsi; anche nelle carte internazionali c’è scritto che la famiglia è fondata sul matrimonio.

D. – Ma può configurarsi come incostituzionale una legge che va ad indebolire ciò che per la Costituzione è fondamento della società, ovvero il matrimonio?

R. - Posso fare un sorriso amaro? La Corte costituzionale di recente ha dichiarato incostituzionale il divieto dell’eterologa. Se lei ci pensa, questo vuol dire che l’eterologa è doverosa costituzionalmente! È qualcosa che onestamente non sta né in cielo né in terra! Quindi rispondendo alla sua domanda, dubito che qualcuno osi dichiarare incostituzionale questa norma, perché ormai quel concetto di matrimonio non c’è più. Ecco perché dicevo che l’Art. 29 è stato già depotenziato. La mia è una constatazione.

D. - ... che nasce da un depotenziamento di alcuni termini, che - appunto – erano fondanti nella stesura della Costituzione ...

R. – Un depotenziamento anche lessicale. Lei sa che in alcune scuole, in alcuni enti si è voluto sostituire i termini padre, madre con genitore 1 e genitore 2. Siamo nella stessa lunghezza d’onda. Lei sa che nelle scuole c’è il tentativo reiterato di introdurre una formula di educazione sessuale fin dalla più tenera età, tagliando fuori l’educazione dei genitori. Quest’ultima fa parte del matrimonio, no? Purtroppo quest’ultima svolta sul divorzio breve è coerente con questo indirizzo negativo nei confronti dell’istituto del matrimonio. In Parlamento bisognava fare un ragionamento diverso, accogliendo alcune istanze accettabili, ma dicendo: “Signori miei, il matrimonio non può essere – come dicevo prima – una porta girevole!”. Se non lo fanno in Parlamento, nessuno può fare niente. La legge dimentica questi principi e sceglie la via breve della privatizzazione del matrimonio.

D. – C’è ancora un margine di intervento. Il richiamo alla responsabilità della politica resta dunque  valido, visto il passaggio del provvedimento sul divorzio breve in aula il prossimo 26 maggio ...

R. – Certamente, la responsabilità è del legislatore e quindi della politica.








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