2014-05-15 15:35:00

Mons. Paglia: mettere la famiglia al centro della politica


In occasione della XX Giornata della famiglia promossa dall’Onu, che si celebra ogni anno il 15 maggio, la rappresentanza diplomatica della Santa Sede alle Nazioni Unite propone un incontro nella sede dell’organizzazione a New York. Ad intervenire, mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Al microfono di Tiziana Campisi, il presule sintetizza il suo intervento:

R. – Io sono particolarmente lieto che le Nazioni Unite, attraverso questa Giornata, desiderino, vogliano spingere i governi a porre al centro delle loro politiche la famiglia, perché comprendono che senza di essa la intergenerazione salta, la creazione della storia stessa, in fondo, si indebolisce! Ecco perché la Santa Sede, consapevole dell’urgenza di tutto questo, vuole dare il suo contributo, sottolineando che la famiglia – per la sua particolare costruzione, e quando parlo di famiglia, parlo della maggioranza delle nostre famiglie, ossia padri, madri, figli, nonni e nipoti – questa famiglia è la risorsa più importante per le nostre società, e ancor più è la fonte di uno sviluppo a misura umana delle nostre società.

D. – Quale contributo può dare la famiglia cristiana alla famiglia laica?

R. – Io credo che la famiglia cristiana abbia la responsabilità non tanto di creare una famiglia diversa, ma il compito di approfondire i valori della famiglia umana, di quella che è di tutti. C’è un patrimonio comune da valorizzare e da proporre. La particolarità della prospettiva cristiana è la seguente: l’amore, o la benedizione di Dio, che ricevono gli sposi cristiani sottolinea che l’amore della famiglia non è egocentrico, non chiude nelle pareti domestiche, ma è un amore che spinge a superare tutti i confini. Quindi, la famiglia cristiana supera i suoi confini e si lega alle altre famiglie; supera le sue tensioni centripete per andare verso i più poveri; supera, ancora, se stessa per andare verso la città, fino a giungere alla famiglia dei poveri. Insomma, quell’amore che si riceve nel giorno del matrimonio è un amore che porta fino alle periferie del nostro pianeta. In questo senso c’è una peculiarità e una ricchezza di gratuità che è la vocazione che le famiglie cristiane devono vivere al loro interno e in prospettiva missionaria.

D. – Dunque, tutto questo sposa il tema della 20.ma Giornata della famiglia: proprio, promuovere l’integrazione sociale e la solidarietà inter-generazionale. Sotto questo ultimo punto di vista, che cosa fare ancora?

R. – Io credo che sia indispensabile recuperare il legame tra le generazioni, che passa attraverso quel processo di educazione che, in verità, fa parte della missione stessa della Chiesa. Oggi si parla di evaporazione del padre: che cosa vuol dire? Che molti padri hanno abbandonato l’impegno, la responsabilità, la fatica dell’educazione. Dire: “Sono tuo fratello”, vuol dire non capire la responsabilità che un padre ha. Credo che sia urgente che la Chiesa riscopra al suo interno la prospettiva intergenerazionale per poi aiutare, come lievito, questa prospettiva all’interno della stessa società umana. Una tendenza, come c’è in Europa, a creare una società defamiliarizzata, cioè a creare delle famiglie monopersonali, questo vuol dire che noi abbiamo abbandonato – perché troppo faticoso – il legame con gli altri: infatti, legarsi per tutta la vita con un altro lo sentiamo insopportabile. Ma questo vuol dire che alla fine, quel che conta è solo l’io, solo se stessi, ed è chiaramente un modo per distruggere dall’interno la socialità e la stessa vita comune tra la gente.








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