2014-05-20 14:48:00

L'alluvione nei Balcani: decine di morti, pericolo di frane e mine


Almeno 40 vittime e migliaia le persone evacuate, ma la conta dei danni è ancora in corso. L’alluvione che negli ultimi giorni ha interessato la Bosnia ed Erzegovina e la Serbia, dove oggi sono stati proclamati tre giorni di lutto nazionale, è la peggiore catastrofe naturale che ha colpito i Balcani negli ultimi 120 anni. Gravemente danneggiate case, infrastrutture, strade, ponti, linee ferroviarie, numerose le zone allagate ancora difficilmente raggiungibili. Migliaia di frane hanno peggiorato la situazione e ostacolato i soccorsi, riemerse anche numerose mine sepolte durante il conflitto degli anni ‘90. Domenica la pioggia ha concesso una prima tregua, permettendo un parziale ritorno alla normalità. Persiste l’allarme nelle località lungo il corso della Sava, in alcune si teme una nuova ondata di piena. Le operazioni di soccorso proseguono: mobilitata anche la Caritas locale, che sta cercando di offrire cibo e assistenza sanitaria agli sfollati. Laura Ieraci ha intervistato mons. Stanislav Hocevar, arcivescovo di Belgrado e presidente della Caritas serba:

 

R. – On the river Sava where...

Sul fiume Sava sono stati piazzati centinaia di migliaia di sacchi di sabbia per alzare e rinforzare gli argini. Ma adesso l’acqua sta arrivando a terra, alla foresta, ed è estremamente difficile salvaguardarla. In alcuni posti, che non sono stati accessibili per giorni, abbiamo avuto già notizia di un principio di malattie. Il posto più a rischio, Obrenovac, è ancora sotto l’acqua, anche se il livello si sta abbassando. E notizie stanno arrivando ancora da luoghi diversi ed è davvero difficile coordinare ogni cosa. Per quanto riguarda la Caritas, è in continua attività in due luoghi, a Šabac e Valjevo, dove ha distribuito cibo e beni di prima necessità. Durante la settimana, la stessa cosa verrà fatta anche nella municipalità di Obrenovac. Al momento uno dei miei colleghi sta visitando altre municipalità che si trovano in una situazione davvero difficile.  L’idea è quella di capire la situazione e, durante la settimana, dare un aiuto migliore e più coordinato alle persone che si trovano lì. La situazione nei campi è ancora caotica e quello che posso dire, adesso, è che più di 25 mila persone, sono state evacuate e l’evacuazione è ancora in corso; migliaia di case sono state distrutte e migliaia di case sono ancora inondate. E’ impossibile dire dove si arriverà e l’entità dei danni. La Caritas serba è qui. Noi siamo qui e vogliamo aiutare, ma abbiamo bisogno di aiuto da fuori per fare questo: abbiamo bisogno di cibo e di mezzi per la disinfezione. Inoltre, stiamo già pensando a come procurarci il cibo per gli animali - in quei posti dove sono sopravvissuti - e di avere notizie più accurate dai campi, per dare un aiuto più efficace.

Ma sulle conseguenze delle alluvioni  dei giorni scorsi, sentiamo ancora Daniele Bombardi, coordinatore regionale Caritas di Bosnia Herzegovina e Serbia e poi mons. Lush Gjergji, vicario generale della Chiesa del Kosovo, intervistati da Emanuela Campanile:

R. – Il problema delle alluvioni ha generato una serie di altre problematiche consequenziali. Anzitutto, le alluvioni dei giorni scorsi stanno purtroppo proseguendo nelle zone dove i fiumi in piena stanno esondando e riversandosi, per cui a oggi ci sono ancora zone totalmente sotto l’acqua. Il secondo problema è quello delle frane: il territorio montuoso della Bosnia Erzegovina non è più in grado di assorbire l’acqua, per cui pezzi di terra vengono giù continuamente. Si parla di migliaia di frane in tutto il territorio. C’è poi il problema delle mine, perché i campi minati che si trovano nelle zone alluvionate hanno - da un lato - perso le segnalazioni e - dall’altro - c’è chi dice anche che alcune mine si possano essere spostate. E questo potrebbe quindi rappresentare un ulteriore problema alla già critica situazione di questo momento.

D. – Padre  Lush Gjergji, come procedono gli aiuti in generale e della Caritas?

R. – Queste alluvioni hanno causato tanti danni e purtroppo anche vittime, ma hanno anche suscitato una solidarietà tra le nazioni, tra gli Stati. Anche nel Kosovo stesso è nata una iniziativa per aiutare questa popolazione tramite le forze di protezione e tramite i diversi organismi, soprattutto la Caritas. Vediamo che la gente è buona, ha un cuore. Ma non bisogna aspettare soltanto questi episodi di alluvioni o di terremoti per suscitare nella gente il desiderio di aiutare, di comprendere e di stare vicini a quanti soffrono. In questo senso, direi di fare appello alle coscienze della popolazione – soprattutto a quella italiana che è stata ed è sempre generosa in questi casi – affinché non si adoperi solo nella prima fase di emergenza, ma continui a mantenere un focus su questa situazione della Bosnia Erzegovina, della Serbia e di dare il meglio di se stessi, come direbbe Madre Teresa: e dare il meglio di se stessi vuol dire dare l’amore, offrire la solidarietà, la comprensione, la condivisione. In questo senso speriamo di consolidare, ancora di più, la fratellanza, il dialogo ecumenico e il dialogo interreligioso.

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