2014-05-22 12:53:00

Meriam, il marito denuncia: in prigione con le catene alle caviglie


Passa anche per Roma la speranza per Meriam Yahia Ibrahim, la sudanese di 27 anni - incinta di otto mesi e madre di un bambino di nemmeno 2 anni - condannata a morte da un tribunale di Khartoum per apostasia: ha sposato un cristiano ma lei, cristiana ortodossa che non ha rinunciato alla propria fede, per il Sudan è “obbligatoriamente” musulmana, perché figlia di padre musulmano. Il servizio di Giada Aquilino:

Meriam è stata arrestata lo scorso febbraio, in seguito alla denuncia di un parente. E’ stata poi condannata a morte ai primi di maggio per non aver accettato di abiurare la propria fede e a 100 frustate, con l'accusa di "adulterio" per aver sposato un cristiano. Il sistema giudiziario in Sudan è basato sulla Sharia e prevede che la religione della giovane sia quella del padre, musulmano, di cui Meriam probabilmente ricorda solo pochi tratti, perché l’ha abbandonata quando era ancora piccola. Ora la giovane donna si trova nel carcere di Khartoum, trattenuta con le catene alle caviglie, secondo il marito che è riuscito a incontrarla in prigione questa settimana. A completare il quadro delle sue condizioni, oltre alla detenzione, è l’ottavo mese di gravidanza: quindi gambe gonfie, il peso del bambino nel suo grembo, l’affaticamento, tutti caratteri che però - probabilmente – sono anche la forza di Meriam in questo momento. Con lei in carcere, pure il figlio di 20 mesi, Martin, che, provato dall’ambiente in cui è costretto a vivere, si è già ripetutamente ammalato. Il padre del bambino ha provato a chiedere l’affidamento del piccolo ma, non essendo ritenuto valido in Sudan il matrimonio tra un cristiano e una musulmana, Martin è considerato illegittimo. L’uomo ha denunciato inoltre che la moglie ha subito maltrattamenti all’interno del penitenziario. Eppure non perde la speranza. Perché si allarga la mobilitazione in tutto il mondo e perché, nella drammaticità del caso, da Roma rimbalza una notizia di stampa che potrebbe aprire nuovi scenari. Esistono "ragionevoli possibilità" che la condanna a morte per apostasia a carico di Meriam sia "rivista" nei gradi successivi del processo a suo carico, "sulla base del ricorso presentato dagli avvocati della difesa": ad affermarlo l'ambasciata sudanese a Roma, in un comunicato inviato al ministero degli Esteri italiano. Nella nota si precisa inoltre che quella dei primi di maggio è stata una sentenza di primo grado, alla quale seguiranno i pronunciamenti "della Corte d'appello, della Corte Suprema e, se del caso, anche della Corte costituzionale". A confermare la notizia di un possibile nuovo processo per Meriam è padre Giancarlo Ramanzini, missionario comboniano che per quasi quarant’anni ha vissuto in Sudan:

R. - Quello che so, ora, in questo momento, è che rifaranno il processo in tribunale: ancora una volta tornerà davanti ai giudici, proprio perché c’è stata questa pressione dall’esterno.

D. - In che condizioni si trova la ragazza, secondo le informazioni che ha?

R. - E’ ancora in prigione, è incinta e con lei c’è anche l’altro bambino di 20-21 mesi… E’ in carcere nella prigione femminile di Omdurman, che non è il posto migliore dove possano vivere i prigionieri! Spero che abbia delle visite da parte dei padri di Omdurman, quando la domenica hanno la possibilità di andare a pregare con i prigionieri cristiani. C’è una piccola chiesetta che hanno costruito proprio lì.

D. - Tra poco Meriam dovrebbe partire: secondo lei, come potrà farlo?

R. - Di solito portano le prigioniere all’ospedale: lì c’è una maternità, dove ci sono anche delle nostre suore carmelitane che operano proprio a Omdurman. Non è neanche tanto lontano. Quindi spero che abbiano questa attenzione di far partorire anche Meriam nel posto più giusto.

D. - Cosa vuol dire essere cristiano in Sudan?

R. - Avere il coraggio di non aver paura di mostrare di essere cristiani lì!

D. - Cosa spera per la ragazza?

R. - Spero che la liberino, che possa ritornare a casa in tempo per dare alla luce il suo bambino in pace e serenità. Per il bene di Meriam e della sua famiglia, mi auguro che riesca ad uscire da questa situazione così tragica. 








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