Immagini che difficilmente saranno dimenticate, tra le quali la sosta del Papa al muro di separazione, il suo abbraccio con Bartolomeo I, l’intesa stabilita con i leader di Palestina e Israele sulla pace. Un bilancio a caldo della visita di Papa Francesco in Terra Santa lo traccia, al microfono dell’inviato Roberto Piermarini, il responsabile della comunicazione sociale del viaggio, padre David Neuhaus:
R. - Tre immagini fortissime. La prima è quella del Papa al Muro di Betlemme, dove ha toccato il dolore del popolo palestinese … E non soltanto lì; poi il gesto imprevisto … lui che si mette a pregare accanto a questo muro, questa ferita sulla nostra terra … É un’immagine fortissima, tocca il dolore del popolo palestinese. La seconda immagine è quella del Papa con il Patriarca. Questo incontro era previsto, ma quando è accaduto è stato un momento fortissimo, un momento di speranza enorme per questa ferita sul volto della Chiesa, questa divisione non soltanto con i nostri fratelli e sorelle ortodossi, ma con tutti gli altri cristiani noi siamo sul cammino della guarigione.
D. - Si può quindi realizzare il sogno dell’unità?
R. - Noi dobbiamo crederci. Questi due uomini ci hanno dato la prova che loro credono. L’intero incontro è stato magnifico, specialmente l’immagine dei due uomini che pregano insieme davanti alla tomba. La terza immagine è quella del Papa allo Yad Vashem; anche questa fortissima. Questo grido, perché non si è trattato di un discorso, ma un grido poetico: “Dove sei uomo? Dove sei Adamo?”. Il ricordo di questa immagine è fortissimo! In quel momento lui ha toccato il dolore del popolo ebraico e una ferita sulla faccia dell’umanità. Sono queste le tre immagini che secondo me sono fortissime. Noi adesso rivedremo tutto il viaggio per capire più profondamente il messaggio e i gesti nella continuità di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: siamo veramente felici che questi quattro viaggi ci mettono sul cammino della Chiesa: vocazione e missione.
D. - La cosa importante di questo viaggio è stata la convocazione di un incontro di preghiera e di pace in Vaticano, nella sua casa – come ha detto il Papa – tra Abu Mazen e il presidente Peres. Secondo lei, il Papa da qui, da questa Terra Santa, sta instaurando la diplomazia della preghiera?
R. - Credo che è molto importante. C’erano tantissimi giornalisti che hanno detto: “Il Papa adesso gioca il ruolo in cui Kerry non è riuscito! Quindi il Papa prende il posto di Kerry?”. Ed io: “No, il Papa introduce un’altra dimensione per la ricerca della pace” … una dimensione spesso dimenticata, ma che per noi è forse la più importante: la preghiera. E questo è il compito del Papa! “Carissimi palestinesi e israeliani, mettiamoci davanti a Dio! Abbiamo provato e non siamo riusciti ad inaugurare un periodo di dialogo. Che cosa succederà se noi ci mettiamo davanti a Dio nella preghiera, nel silenzio, chiedendoci: chi sono davanti a questo Dio?”. Credo che qui non si tratti di diplomazia, di politica ma di spiritualità gesuita pura!
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