2014-05-27 16:23:00

Il Papa al Getsemani: cristiani siano testimoni coraggiosi del Risorto


“Non lasciamoci vincere dalla paura”, Gesù “non ci lascia mai soli”. E’ l’esortazione rivolta da Papa Francesco a sacerdoti, religiosi e seminaristi della Terra Santa, incontrati nella chiesa del Getsemani, accanto all’Orto degli Ulivi. Al termine dell’incontro, il Pontefice ha piantato un piccolo ulivo vicino a quello messo a dimora da Paolo VI il 4 gennaio del 1964. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Un uomo che pianta un piccolo arbusto d’ulivo. Un gesto semplice ripetuto innumerevoli volte, ma che in questa occasione assume un valore unico perché a piantarlo è il Successore di Pietro e quella piccola pianta crescerà nel luogo che è stato testimone dell’agonia del Figlio di Dio. Splende il sole sul Monte degli Ulivi quando Francesco mette a dimora un piccolo alberello che, significativamente, intreccerà la sua ombra con l’ulivo piantato da Paolo VI in una fredda giornata di gennaio di 50 anni fa.

Prima di questo suggestivo evento, Francesco aveva incontrato seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose nella chiesa del Getsemani, affidata alla Custodia di Terra Santa. Momento iniziato con la preghiera del Papa sulla pietra che, secondo la tradizione, raccolse le lacrime e le gocce di sudore misto a sangue di Gesù che pregava il Padre prima di essere arrestato. Nel suo indirizzo di saluto, il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal ha parlato delle agonie dei popoli dei nostri tempi ed ha rammentato che Gerusalemme è “citta che unisce tutti i credenti” e che “allo stesso tempo li divide”, città del Calvario ma pure della Risurrezione e della Speranza. E, con la premura di un padre che ha cura dei suoi figli, mons. Twal ha portato al cuore del vescovo di Roma le sofferenze della Chiesa della Terra di Gesù:

“Come Gesù nel Getsemani, i nostri cari consacrati, parte integrante della Chiesa locale, spesso si sentono soli ed abbandonati. Attraverso la tua persona e la tua voce, chiediamo al mondo cristiano e ai nostri fratelli Vescovi, più vicinanza, più solidarietà e senso di appartenenza a questa Chiesa Madre”.

Parole che hanno toccato il Papa. Nella sua omelia, infatti, Francesco ha incoraggiato i consacrati che vivono in Terra Santa a non lasciarsi vincere dalla paura, dallo sconforto. Gesù, ha detto, “è sempre al nostro fianco, non ci lascia mai soli”. E ci “prende sempre per mano, perché non affoghiamo nel mare dello sgomento”:

“Voi, cari fratelli e sorelle, siete chiamati a seguire il Signore con gioia in questa Terra benedetta! E’ un dono e una responsabilità. La vostra presenza qui è molto importante; tutta la Chiesa vi è grata e vi sostiene con la preghiera”.

E proprio a partire dalla preghiera di Gesù, nell’ora dell’agonia, il Papa ha sviluppato la riflessione confidando di aver quasi timore nell’accostarsi “ai sentimenti che Gesù ha sperimentato in quell’ora”. Entriamo, ha detto, “in punta di piedi in quello spazio interiore dove si è deciso il dramma del mondo”. In quell’ora, ha osservato, Gesù ha sentito “la necessità di pregare e di avere accanto a sé i suoi discepoli, i suoi amici”. Ma qui al Getsemani, ha rilevato, “la sequela si fa difficile e incerta; c’è il sopravvento del dubbio, della stanchezza e del terrore”:

“Nel succedersi incalzante della passione di Gesù, i discepoli assumeranno diversi atteggiamenti nei confronti del Maestro: di vicinanza, di allontanamento, di incertezza. Farà bene a tutti noi, vescovi, sacerdoti, persone consacrate, seminaristi, in questo luogo, domandarci: chi sono io davanti al mio Signore che soffre?”.

Sono di quelli, ha detto il Papa, che si addormentano, fuggono o lo rinnegano per paura, “abbandonando il Maestro nell’ora più tragica della sua vita terrena?”. C’è “forse in me - ha aggiunto - la doppiezza, la falsità di colui che lo ha venduto per trenta monete, che era stato chiamato amico, eppure ha tradito Gesù?”. Oppure, ha soggiunto, “grazie a Dio, mi ritrovo tra coloro che sono stati fedeli sino alla fine, come la Vergine Maria e l’apostolo Giovanni?”.

“Quando sul Golgota tutto diventa buio e ogni speranza sembra finita, solo l’amore è più forte della morte. L’amore della Madre e del discepolo prediletto li spinge a rimanere ai piedi della croce, per condividere fino in fondo il dolore di Gesù”.

“Mi riconosco – si è domandato ancora il Papa – in quelli che hanno imitato il loro Maestro fino al martirio, testimoniando quanto Egli fosse tutto per loro?”. “L’amicizia di Gesù nei nostri confronti, la sua fedeltà e la sua misericordia – ha sottolineato – sono il dono inestimabile che ci incoraggia a proseguire con fiducia la nostra sequela di Lui, nonostante le nostre cadute, i nostri errori e i nostri tradimenti”:

“Ma questa bontà del Signore non ci esime dalla vigilanza di fronte al tentatore, al peccato, al male e al tradimento che possono attraversare anche la vita sacerdotale e religiosa. Tutti noi siamo esposti al peccato, al male, al tradimento”.

Il Papa ha concluso il suo intervento rivolgendo “un affettuoso saluto a tutti i cristiani di Gerusalemme”, consapevole della “difficoltà della loro vita nella città”. Li esorto, ha detto Francesco, “ad essere testimoni coraggiosi della Passione del Signore, ma anche della sua Risurrezione con gioia e nella speranza”.

 








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