2014-06-05 11:15:00

L'incontro del Papa con Aram I: ferite del popolo armeno, ferite di Cristo


Le speranze e l’impegno condivisi nel cammino in corso verso l’unità. E’ questo che il Papa ha voluto sottolineare nel suo discorso a sua Santità Aram I, Catholicos della Chiesa Armena Apostolica di Cilicia, ricevuto stamane in Vaticano. Tra i due anche una riflessione sulla storia di sofferenza e di prove vissute dal popolo e dalla Chiesa armena. Infine, la preghiera comune nella Cappella Redemptoris Mater. Il servizio di Gabriella Ceraso:

“Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo! (Rm 1,7). Benvenuti alle soglie dei Santi Apostoli Pietro e Paolo!”.

Il saluto fraterno del Papa si muta subito in un ringraziamento al Catholicos della Grande Casa di Cilicia e alla Chiesa che rappresenta, ”per le relazioni fraterne che ci uniscono”, afferma Francesco, ”per il loro continuo progresso”, ma anche per l’impegno di Aram I per la causa dell’unità tra i credenti in Cristo:

“Mi sento di dire che, in questo cammino verso la piena comunione, condividiamo le stesse speranze e lo stesso impegno responsabile, consapevoli di camminare così nella volontà del Signore Gesù Cristo”.

L’unità visibile della Chiesa è stata auspicata, nel suo discorso, dallo stesso Aram I, unità, ha detto, mai separabile dalla “realtà missionaria”, “vocazione sacra su cui non si può “scendere a compromessi”. Da qui il riferimento alle avversità e alle persecuzioni che hanno segnato la vita della Chiesa, in particolare quella cristiana in Medio Oriente, ma anche alle sofferenze degli armeni dei primi del ‘900. Una storia “di prove accettate coraggiosamente per amore di Dio” rimarca anche il Papa nel suo discorso:

“La storia di emigrazione, persecuzione e martirio di così numerosi fedeli ha lasciato ferite profonde nei cuori di tutti gli Armeni. Le dobbiamo vedere e venerare come ferite del corpo stesso di Cristo: proprio per questo esse sono anche causa di incrollabile speranza e di fiducia nella misericordia provvidente del Padre”.

Quanto bisogno c’è di fiducia e speranza, rimarca il Papa, sia tra i fratelli cristiani del Medio Oriente, ”in particolare coloro che vivono in zone martoriate dal conflitto e dalla violenza” sia tra noi “cristiani che pur non affrontando tali difficoltà” spesso rischiamo di perderci nei deserti dell’indifferenza e della dimenticanza di Dio”, nel conflitto tra fratelli, o nelle battaglie interiori contro il peccato:

“Come seguaci di Gesù dobbiamo imparare a portare con umiltà gli uni i pesi degli altri, aiutandoci così a vicenda ad essere più cristiani, più discepoli di Gesù. Camminiamo quindi insieme nella carità, come Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore (cfr Ef 5,1-2)”.

L’invocazione finale del Pontefice con lo sguardo rivolto all’imminente festa della Pentecoste, è per l’aiuto dello Spirito Santo e per il suo intervento “affinché rinnovi la faccia della terra, sia forza per risanare le ferite del mondo e riconciliare i cuori di ogni uomo con il Creatore”:

“Sia Lui, il Paraclito, ad ispirare il nostro cammino verso l’unità, sia Lui ad insegnarci come alimentare i legami di fraternità che già ci uniscono nell’unico battesimo e nell’unica fede”.








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