2014-06-16 14:42:00

Incontro Oasis a Sarajevo: religioni fra guerra e riconciliazione


A 100 anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale la rete internazionale di Oasis - impegnata nel dialogo tra cristiani e musulmani - ha scelto Sarajevo per il meeting annuale sul tema: Tentazione violenza. Religioni tra guerra e riconciliazione. “Occorre saper chiedere perdono e perdonare”, ha scritto nel messaggio di apertura il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, richiamando i cristiani a immettere nel dialogo la riflessione sulla pace che la Chiesa è andata maturando nel tempo. Dopo l’odierna giornata introduttiva, domani sarà dato spazio alle testimonianze da India, Egitto, Nigeria e Libano. Obiettivi e protagonisti dell’evento nelle parole del segretario scientifico di Oasis Michele Pignone, intervistato da Gabriella Ceraso:

R. – Partendo naturalmente dal 100.mo anniversario della Prima Guerra Mondiale a Sarajevo - che ha vissuto tre momenti drammatici di guerra nel corso del XX secolo - l’obiettivo è proprio quello di capire come le religioni si pongono rispetto all’esplosione della violenza, sia quando ne sono contagiate, sia come importantissimi attori di pace. Cercheremo sia di analizzare quali sono gli elementi che consentono questo ruolo delle religioni sia di capire dall’esperienza in che modo cristiani e musulmani hanno vissuto condizioni di guerra e di violenza.

D. – Lei ha parlato di Sarajevo; in realtà, proprio dalla Prima Guerra Mondiale – cosa che voi per altro affrontate – sono derivate una serie di conseguenze anche relative alla nascita dell’islam politico…

R. – Questo voleva essere proprio il punto di partenza, cioè che la Prima Guerra Mondiale è stata all’origine di alcuni processi che hanno modificato radicalmente sia l’assetto politico e geopolitico del Medio Oriente, sia il modo di vivere l’islam, il rapporto tra l’islam e politica e la legittimazione del potere, questioni che ancora oggi non sono state risolte. Proprio questa mattina, una professoressa musulmana ha messo in luce come nell’esegesi coranica, soprattutto nei trattati di etica islamici, sia difficile giustificare l’uso della Jhiad che invece viene fatto oggi dalle forze terroriste.

D. – Quindi, come il Papa dice spesso, cioè che  “la violenza in nome di Dio è una contraddizione”…

R. – Sì, sicuramente all’interno stesso della tradizione islamica è possibile rintracciare elementi che concordano con gli inviti recenti del Papa e penso ci siano musulmani pronti a raccogliere questi inviti.

D. – Dall’India, alla Nigeria, alla Libia, all’Egitto, voi mettete insieme interlocutori che vengono da questi luoghi e che raccontano la loro esperienza. C’è un filo rosso, un filo conduttore che unisce tutti, un unico intento?

R. – Sì il filo conduttore è la situazione difficile che questi Paesi vivono, situazioni in cui, negli ultimi anni, c’è stata un’esplosione di violenza che ha colpito in particolar modo i cristiani ma non solo. L’idea di mettere insieme persone di estrazione e provenienze diverse serve, appunto, per capire come in questi contesti di estrema difficoltà le comunità locali vivono una situazione di vera e propria testimonianza della propria fede che può essere molto arricchente per tutti.

D. – Testimoniano la loro fede nel senso di dialogo?

R. - Testimoniano la loro fede sia, nel limite del possibile, tentando di continuare a farlo senza magari lasciare i propri Paesi; sia mostrando che è possibile, anche nelle situazioni più drammatiche, non rinunciare al dialogo.

D. – Il Papa che non smette mai di ricordare che “fare la pace vuol dire avere il coraggio di incontrarsi”, che tipo di spunti vi offre?

R. – Uno spunto preziosissimo per il nostro lavoro, che sicuramente possiamo dire essere confermato dall’esperienza che ci viene portata dai partecipanti che giungono dai vari Paesi del Medio Oriente e non solo. Inoltre, è confermato di nuovo dall’esperienza dei cristiani che hanno vissuto, qui a Sarajevo, in prima persona l’esperienza della guerra. Uno dei responsabili della comunità cattolica locale, responsabile per il dialogo interreligioso mi parlava del cammino difficile di riconciliazione tra cristiani e musulmani. Diceva che, naturalmente, nessuno di noi è ingenuo, nessuno pensa che i problemi si risolvano con dichiarazioni di buona volontà, ma è importante, giorno dopo giorno, costruire fiducia reciproca; quindi, sapere che l’altro può fidarsi di noi. Penso che sia una chiave veramente importante dei rapporti non solo interreligiosi, ma anche interculturali. 

 

 








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