2014-06-20 10:40:00

Asia Bibi da 5 anni in carcere. Bhatti: rispettare minoranze


Da cinque anni, Asia Bibi, la donna cattolica pakistana accusata per un presunto caso di blasfemia, è in carcere. Su di lei pende una condanna a morte. Finora i giudici, intimoriti da possibili rappresaglie dei fondamentalisti islamici, si sono sottratti alla responsabilità di decidere sul suo caso. Così Asia, dal 19 giugno 2009, è lontana dai suoi figli e da suo marito. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Paul Bhatti, fratello di Shabbaz Bhatti, ministro cattolico pakistano ucciso nel 2011 dopo aver preso le difese di Asia:

R. – Asia Bibi è diventata un simbolo. Noi in questo momento però ricordiamo questa figura con un certo dispiacere, in quanto ci sono state tantissime vittime, dopo di lei, e la situazione rimane tale e quale. Anzi, la violenza contro i poveri in Pakistan è aumentata. Allora vorrei che sia ricordato che il Pakistan non deve essere dimenticato e che i musulmani che sono in Pakistan non sono tutti, come si potrebbe pensare, contro i cristiani.

D. – Qual è la situazione delle minoranze religiose in Pakistan?

R. – La situazione dei cristiani o delle minoranze religiose in Pakistan è direttamente proporzionale alla situazione generale del Pakistan. Il Pakistan sta vivendo ora un periodo molto difficile per questioni di sicurezza, per la situazione economica e politica: il Paese è molto fragile. Allora, oltre ai cristiani e alle minoranze, sono state colpite anche molte figure importanti dello Stato. Questa violenza continua a coinvolgere tutto il Pakistan; i più deboli, che sfortunatamente sono i cristiani, chiaramente sono quelli che soffrono di più.

D. – C’è qualcosa che la comunità internazionale può fare per Asia e per tutte quelle persone che non possono professare liberamente la loro religione?

R. – Sì: io credo che prima di tutto bisognerebbe che la comunità internazionale proiettasse la propria attenzione sul Pakistan, sulla necessità di riportare la pace in Pakistan, e questo non si può fare con le Ong, non lo possono fare piccoli gruppi come il nostro, ci vuole un’attenzione come quella della comunità internazionale. Dopo di questo, ci vuole proprio una vera promozione di dialogo interreligioso, non solo di dialogo, ma anche relazioni interreligiose tra le diverse fedi, e particolarmente tra cristiani e musulmani. In Pakistan devono convivere e devono avere rapporti pacifici, nel rispetto gli uni degli altri. E poi, queste false accuse di blasfemia devono avere fine. Noi siamo convinti di continuare la nostra battaglia, nonostante i rischi che stiamo correndo, nonostante le tante difficoltà sia politiche sia economiche che stiamo affrontando: il nostro percorso è quello. Noi vogliamo la libertà religiosa, il rispetto della dignità dell’uomo e giustizia per tutti, uguale e trasparente. Vogliamo che la comunità internazionale e tutti coloro che sono sensibili a questo caso, collaborino con noi affinché possiamo produrre risultati concreti in modo tale da avere pace e una convivenza pacifica con le altre persone.








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