2014-06-20 14:34:00

Giornata del rifugiato: 51 milioni in fuga dal loro Paese


Oggi si celebra la Giornata mondiale del rifugiato e per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra mondiale il numero di chi scappa dalla propria terra ha superato i 50 milioni di persone. La maggior parte sono afghani, siriani e somali. A dirlo è l’Unchr che ha organizzato a Roma l’incontro “Una storia dietro ogni numero”. Maria Gabriella Lanza ha intervistato Laurens Jolles, delegato Unhcr per il sud Europa e Alganesh Fessaha, responsabile dell’Associazione Gandhi:

R. – Adesso, ci sono 51 milioni di persone sfollate, quindi persone che sono dovute partire dalla loro casa nel Paese stesso, o rifugiate e che quindi sono scappate dal proprio Paese, o richiedenti asilo. Cinquantuno milioni sono tantissimi. Per questo, secondo me, è importante che ci sia almeno una volta all’anno questa Giornata mondiale del Rifugiato, per ricordarci che c’è un grande gruppo di persone che sta veramente male, che soffre e che è dovuto scappare dal proprio Paese e per creare anche un po’ di solidarietà e di comprensione.

D. – In Italia, da gennaio a maggio, sono arrivati sulle nostre coste 58 mila migranti e molti finiscono per vivere in centri sovraffollati, senza possibilità di lavorare. Aspettano anche due anni prima di avere lo status di rifugiato. Come si può garantire a queste persone il diritto, sancito dalla Convenzione di Ginevra, all’accoglienza?

R. – Purtroppo, molti di quelli che vediamo nei grandi centri urbani, che vivono in modo anche un po’ indegno – in edifici fatiscenti, occupati, o anche per strada, nelle stazioni – sono persone che hanno già ricevuto lo status, molti di loro. Questa è una cosa molto preoccupante. Quindi, sull’integrazione, il supporto, il sostegno all’integrazione e sull’accoglienza in Italia, in modo specifico, c’è ancora un lungo percorso da fare.

D. – Il tema della giornata di oggi è: “Ogni storia merita di essere ascoltata”. Quindi, andare oltre i numeri…

R. – Non bisogna mai scordarsi che queste 60 mila persone, questi 51 milioni di persone, sono individui che hanno una vita, una vita passata, hanno sofferto, hanno gioie, speranze e sogni. Bisogna anche pensare che tutto quello che facciamo noi per gli altri, un giorno lo faranno forse per noi. Non bisogna mai pensare che noi tutti siamo esenti dal poter essere rifugiati un giorno. In questi 30 anni in cui ho lavorato per l’Unhcr ho visto tante situazioni in cui parlavo con alcuni ministri di vari Paesi e, dopo un po’ di tempo, quelle stesse persone erano rifugiate in un altro Paese. Oppure l’inverso, persone che erano rifugiate, che venivano spesso da me e con cui si parlava, si discuteva, poi diventavano ministri o dottori. Quindi, a tutti può succedere, non è qualcosa che può succedere solo agli altri.

Storie che meritano di essere raccontate, come quelle di Alganesh Fessaha, arrivata in Italia dall’Eritrea, 30 anni fa. Ogg,i aiuta le persone che come lei sono dovute scappare alla propria terra:

"Io sono una rifugiata 'privilegiata', perché sono venuta qui più di 30 anni fa ed il concetto di rifugiato non esisteva. Però, mi occupo dei profughi, dei rifugiati da 12 anni: vado nel Sinai a liberarli dalla mano dei beduini, dalla tratta. Vado lì per liberarli dalle prigioni egiziane e poi lavoro anche nei campi profughi etiopici da più di 12 anni. Noi abbiamo una situazione, per esempio a Milano – io vivo a Milano – dove abbiamo più di 150 persone che dormono nei parchi con la pioggia, con il sole, con il freddo e con il caldo: sono tutti quasi minorenni. L’Italia dovrebbe cambiare la sua legge nei confronti dei rifugiati, perché è inutile dire che diamo asilo politico, asilo umanitario, e poi non dare nessuna assistenza e lasciarli lì dando loro soltanto un pezzo di carta. Spero che giornate come queste diano un frutto. Che ci sia un’apertura da parte delle istituzioni che non vogliono sentire. Spero, quindi, che aprano un po’ di più le orecchie e gli occhi su queste cose".








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