La scelta dei parlamentari libanesi che disertano le sessioni parlamentari convocate per l'elezione del nuovo presidente espone il Libano a un “grande pericolo”. Lo scrivono in un messaggio i vescovi maroniti, che individuano questo rischio in particolare negli “sviluppi regionali che rischiano di cambiare la carta del Medio Oriente e di smantellare gli Stati”.
L’affermazione dei presuli, riferita dalla Fides, è contenuta in una dichiarazione diffusa alla fine del Sinodo annuale, svoltosi nella sede patriarcale di Bkerkè dall'11 al 19 giugno scorsi. La perdurante assenza di un nuovo presidente, asseriscono i vescovi libanesi, “simboleggia l'assenza dello Stato, e mette in pericolo l'unità del Paese così come la sua sicurezza e la sua economia”.
Il Libano è senza Presidente dal 25 maggio, giorno in cui è terminato il mandato di Michel Sleiman. Finora le 7 sessioni convocate per eleggere il nuovo Capo dello Stato non hanno raggiunto il quorum necessario dei votanti, soprattutto perché i parlamentari legati alla Coalizione “8 marzo” - che comprende anche il Partito sciita Hezbollah - hanno deciso di non partecipare alle votazioni in assenza di un accordo preliminare su un candidato in grado di raccogliere larghi consensi in entrambi i blocchi politici che paralizzano con le loro contrapposizioni la vita politica e istituzionale del Paese.
Nel comunicato, i vescovi maroniti sottolineano che la visita del patriarca Bechara Rai “ha acceso speranze per una soluzione della questione dei libanesi esiliati in Israele”, mostrando che “lo spirito di riconciliazione tra i cittadini del Paese è possibile”, così come la capacità di chiudere definitivamente la pagina della guerra civile.
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