Per le donne afghane anche andare in bicicletta può rappresentare una forma di emancipazione. Parte da qui l’ultima iniziativa di Shannon Galpin, attivista statunitense impegnata nel migliorare la condizione femminile nel Paese asiatico. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, ha costituito una squadra di cicliste locali, con l’obiettivo di farle partecipare alle Olimpiadi del 2020. Ma l’iniziativa potrà avere ricadute positive anche sul piano dei diritti, come ha spiegato, al microfono di Davide Maggiore, la stessa Shannon Galpin, intervistata a margine di un incontro alla Facoltà di Scienze della comunicazione della Pontificia Università Salesiana:
R. – The bike is very interesting, in that the bike is quite …
Il concetto stesso della bicicletta è interessante,
perché la bicicletta è simbolo di movimento e di indipendenza. In termini pratici,
però, in Afghanistan come in altri Paesi in cui alle donne non è permesso andare in
bicicletta, questa diventa strumento di giustizia sociale: è un veicolo che consente
il trasporto a costi bassissimi, un movimento indipendente che permetterebbe un migliore
accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria nelle comunità rurali… Ecco che,
in senso letterale, la bicicletta può cambiare le comunità, specialmente in zone di
conflitto come l’Afghanistan.
D. – Qual è stata la reazione degli uomini a questo progetto?
R. – The reaction in most situations is very positive…
Nella maggior parte delle situazioni, la reazione
è molto positiva, per quanto riguarda le famiglie delle ragazze che vanno in bicicletta:
le famiglie le sostengono, danno loro tutte le possibilità di continuare ad andare
in bicicletta. Invece, la comunità più ampia, quindi oltre la famiglia stretta, ancora
non riesce ad accettare le ragazze che vanno in bicicletta, al punto che uomini e
ragazzi lanciano loro sassi… Per fortuna, nessuna ha subito troppi danni, si sono
riprese presto. E’ evidente che quello che fanno rappresenta una sfida alle consuetudini
e questo incontrerà resistenze.
D. – Quale la resistenza maggiore che ha trovato al suo progetto?
R. – The most important resistance is fear: it
is the fear of the unknown…
La resistenza maggiore è la paura. È la paura dell’ignoto,
è la paura che hanno le ragazze di intraprendere un nuovo sport o di andare a scuola
o di trovare un lavoro, nella consapevolezza che ci sono persone che non rispettano
questa scelta o non la approvano. E anche questo fonda sulla paura: la paura di cambiare…
E’ necessario quindi superare le paure intanto nei singoli individui e poi comprendere
perché gli uomini siano così fortemente contrari a questi programmi. Anche la maggior
parte di questi atteggiamenti sono radicati nella paura.
D. – Come avete affrontato questi temi culturali e le resistenze culturali che avete trovato?
R. – It’s typical of those resistances to a particular
programme…
E’ tipico trovare queste resistenze a un programma
particolare, che si tratti di biciclette o di istruzione… L’idea è trovare una strada
per richiamare l’attenzione della comunità, affinché questa comprenda in quale misura
questo specifico programma possa tornare a suo vantaggio e quindi a beneficio dell’intera
società. Quindi, se si riesce a trovare la chiave d’accesso dimostrando loro – per
esempio – che l’istruzione delle ragazze porta vantaggio alla famiglia e alla comunità,
allora, in genere, daranno supporto su tutta la linea.
D. – Cosa lei, da occidentale, ha imparato da queste donne e cosa possiamo imparare noi tutti?
R. – I think courage. Courage and a kind of deep
seeded feeling…
Penso sia il coraggio. Il coraggio e una sorta di
senso profondamente radicato in noi stessi di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato,
e quindi il coraggio di impegnarsi per quello che è giusto. A dispetto di quello che
alcuni potrebbero dire, queste donne incarnano questi valori più di chiunque altro
io abbia mai incontrato.
D. – Lei considera il suo progetto come limitato all’Afghanistan o pensa che questo tipo di progetto possa essere esteso anche ad altri contesti?
R. – Yes. I am planning to do it, because I do
believe that this issue…
Sì, e ho intenzione di farlo, perché credo che questo
tema – i diritti delle donne – sia un tema che riguarda tutti: già una sola donna
può fare la differenza. La nostra forza però è nei numeri, per questo la mia idea
è di prendere quello che abbiamo imparato in Afghanistan e trasporlo in altri Paesi,
in altre culture, e così costruire una rete di donne che – letteralmente – portano
la rivoluzione pedalando sulle loro biciclette…
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