2014-06-22 09:00:00

I tanti Brasile del Mondiale. P. Chiera racconta "cracolandia"


In un Brasile i riflettori illuminano ancora il Mondiale, in un altro Brasile, quello più nascosto, si soffre e si muore. Due giorni fa, un proiettile vagante ha ucciso un dodicenne in una delle più povere baraccopoli della periferia di Rio de Janeiro. Il giovane Lucas Canuto è morto durante una sparatoria tra polizia e narcotrafficanti, probabilmente vittima degli stessi agenti, ciò che in quelle zone è all’ordine del giorno. Secondo la polizia, in sette anni i morti causati da operazioni di polizia a Rio sono stati oltre 5.500, ma secondo le ong sono addirittura il triplo. Intanto, l’Unicef avverte che nell’ultimo mese sono state circa 3.800 le segnalazioni di violenza su bambini e adolescenti e che in Brasile sono circa tre milioni i ragazzi e le ragazze di età tra i 10 e i 17 anni coinvolti nel lavoro minorile. Padre Renato Chiera, fondatore della “Casa do Menor”, a Rio dei Janeiro, da 36 anni è al fianco dei ragazzi di strada, i "meninos de rua". Luca Collodi lo ha intervistato:

R. - Io vivo nel Brasile dimenticato, escluso: le periferie, le "cracolandie", i rifiuti. Il Brasile in questo momento è in una situazione di esplosione economica, ma soprattutto di consumismo. Chi è stato miserabile, che non aveva da mangiare, quando poi ha, butta. I Mondiali avvengono in un clima di non gioia, di non festa. Si dice: “Il calcio va bene”, ma prima degli stadi Fifa, abbiamo bisogno di ospedali “modello Fifa”, di scuole “modello Fifa”, e questo lo hanno detto i giovani e che siano i giovani a contestare per me è un fenomeno nuovo.

D. - Qual è il male che affligge il Brasile? Cosa è cambiato da Lula all’attuale governo?

R. - Dobbiamo dire che Lula ha aiutato il Brasile ad avere degli sviluppi nuovi, ha dato speranza. Anche a livello economico, ha portato a una certa distribuzione del reddito attraverso "Bolsa família", un’azione assistenziale, un po’ discutibile, ma che è servita a far uscire 40 mila persone dalla miseria, che ora hanno da mangiare. Adesso cosa è successo? Il Brasile ha avuto un boom economico fondato principalmente sul consumismo, perché il governo ha dato appoggi per consumare. Adess,o c’è una corsa al consumo che non esisteva una volta, una corsa all’avere. Chi non ha, ha rabbia. La classe media che ha di più, vuole di più. La classe alta ha sempre di più. Abbiamo 65 ricchi che hanno più di metà del tesoro nazionale. Hanno provato l’ebbrezza dell’avere e adesso c’è un vuoto: ed ecco la droga, "cracolandia" col narcotraffico... Ecco queste situazioni di disperazione che sono degli inferni. Le "cracolandie" sono cimiteri di vivi che si consolano usando droga fino a morire. Un cimitero composto da bambini, ragazzi, papà, mamme, ragazze incinta, nonni e nonne.

D. - Qui si supera il confine della povertà così come noi la intendiamo. Quindi, c’è qualcosa di più della povertà...

R. - La grande tragedia non è essere poveri, che è quello che pensavo quando sono arrivato in Brasile. Stando a contatto con i non amati, con gli esclusi, con coloro che non hanno nessuno, ho capito che la più grande tragedia è il non essere figli! C’è un vuoto dentro, un vuoto spirituale. Non sentirsi amato dal papà, dalla mamma, dalla famiglia, dalla società e da Dio, è un vuoto spirituale, morale. Sono le conseguenze di un degrado morale e sociale.

D. - La parte istituzionale del Brasile si rende conto di questo? Ha consapevolezza che c’è una società che rischia di essere drogata?

R. – Io dico che la "cracolandia" è lo specchio di una società drogata. Ma il governo non capisce questo, purtroppo. Ha una visione molto materialista: è un problema sociale, economico, ma lo affrontiamo come problema di polizia... Il governo lo vede come un problema di sicurezza pubblica. Noi cerchiamo di far capire al governo che il problema è molto più serio. Ma il governo non ha la condizione di arrivare all’anima, non ha questi strumenti per captare questo grido che io capto stando con loro. Non ce li ha. A Rio, il governo vede il problema della "cracolandia" come un problema di polizia: è un cammino errato, perché queste persone che sono in queste periferie della società sono già state buttate via, hanno ricevuto molta violenza, e noi vogliamo salvarli facendo loro altra violenza? Il governo sta occupando le favelas per cacciare il narcotraffico e sta facendo retate contro i suoi figli, perché ne ha paura. È un approccio poliziesco di sicurezza. Le favelas e le "cracolandie" sono zone di guerra, piene di poliziotti permanenti che stanno in queste aree da cui hanno cacciato i trafficanti, ma loro sono rimasti. Adesso, è un momento di tumulto perché i trafficanti stanno ritornando e stanno aggredendo i poliziotti, più di cento poliziotti sono stati uccisi.

D. - Cosa succede ora con la fine dei Mondiali in Brasile?

R. - Francamente sono preoccupato. C’era un malcontento sui Mondiali, perché sono state fatte delle spese enormi, anche con la corruzione. Il popolo sente che i Mondiali non sono per sé, che sono per i ricchi. Non hanno accesso nemmeno agli stadi, le cifre sono altissime. Io sono preoccupato se il Brasile non guadagna. Sembra che anche la nostra Nazionale abbia un po’ questo malcontento, che è generale, e sembra che non giochi bene, e se perde io non so cosa accadrà. La gente farà esplodere la propria rabbia. Abbiamo investito tanti soldi e noi non volevamo, perché noi abbiamo bisogno di cose più essenziali e adesso il risultato è nessuno, e il Brasile non ha vinto. Per il Brasile non vincere una coppa, non vincere nel calcio, può portare a quello stato di bassa autostima tipico del passato.








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