2014-06-27 14:16:00

Sudan: Meriam trova rifugio nell’ambasciata Usa a Khartoum


È libera, ma non può lasciare il Sudan. È Meriam, la donna cristiana sudanese, condannata alla pena di morte per apostasia, poi annullata, ma in seguito fermata all’aeroporto di Khartoum per irregolarità riscontrate nei documenti dalle autorità locali e infine rilasciata. Al momento la donna, il marito e i loro due figli hanno trovato rifugio nell’ambasciata statunitense della capitale sudanese, in attesa del nulla osta della Corte d'appello che ratifichi l'annullamento della sentenza di condanna. Giada Aquilino ne ha parlato con padre Matthew Remijo, missionario comboniano e vicario generale dell’arcidiocesi di Khartoum:

R. – Meriam ora si trova nell’ambasciata Usa a Khartoum, con l’idea poi di partire per gli Stati Uniti.

D. – Quali problemi ci sono al momento? Non può ancora lasciare il Paese. Deve aspettare il nulla osta della Corte d’appello che ratifichi l’annullamento della sentenza di condanna...

R. – Credo che questo sia stato uno dei problemi; un altro è che Meriam voleva uscire dal Sudan per andare negli Stati Uniti con un documento del Sud Sudan, mentre lei è sudanese. Quindi, i servizi di sicurezza l’hanno trattenuta all’aeroporto per poi lasciarla libera ieri. Comunque, suo marito è sud sudanese e ha anche la cittadinanza degli Stati Uniti.

D. – Come può essere letta tutta la vicenda di Meriam, che era stata condannata per apostasia, mentre lei si è sempre dichiara cristiana?

R. – Sì, lei è cristiana da sempre. Si chiama Maria. Suo papà era musulmano, ma lasciò la mamma quando Meriam aveva cinque anni, quindi è cresciuta con sua madre nella Chiesa ortodossa. Lei è diventata cattolica quando nel 2011 si è sposata con il marito, che si chiama Daniel Wani.

D. – I cristiani in Sudan che realtà sono?

R. – I cristiani sono la minoranza, soprattutto a Khartoum. La vita per loro è difficile. Finché la religione rimane una questione personale, non c’è problema. Ma nel rapporto con le autorità, per esempio se si richiedono dei documenti, se si ha bisogno di qualcosa a livello ufficiale da parte dello Stato, c’è qualcosa che non si capisce: se tu chiedi qualcosa a nome della Chiesa, non lo ottieni. Sono quasi due anni che i missionari che vengono da fuori non ricevono il permesso di soggiorno: siamo pochi nella Chiesa e c’è tanto da fare.

D. – La popolazione di cosa ha bisogno?

R. – Al momento, c’è bisogno di tutto. C’è tanta gente che torna dal Sud Sudan a causa della guerra. Tante famiglie vengono e si ritrovano senza casa, senza lavoro e soprattutto senza scuola per i loro figli. Questo è uno dei problemi che la Chiesa sta affrontando: cerca di capire come aiutare. Stiamo parlando con le famiglie per mandare i figli a scuola, sia pure alle scuole del governo, dove però non ci sono insegnanti per la religione cristiana.

D. – Ci sono scuole cattoliche in Sudan?

R. – Stiamo cercando di aprire una, due scuole parrocchiali, che siano per tutti: non soltanto per i cristiani, perché la nostra scuola – la scuola della Chiesa – è per tutti, perché tutti hanno bisogno. Crediamo che testimoniare la carità o fare qualcosa di buono risponda alla necessità di tutti, non soltanto di un gruppo, che sia cristiano o no.

D. – Invece, per Meriam, la speranza qual è?

R. – La richiesta della Chiesa alle autorità è sempre stata di guardare questo caso con criteri di giustizia e quindi lasciarla libera. Quando lei è stata in prigione, le hanno chiesto di rinunciare alla propria fede, ma lei ha detto: “Io sono sempre stata cristiana, mai sono stata musulmana. Quindi, non posso rinunciare alla mia fede in Cristo”. Credo che lei sia stata per noi un esempio di fede, una fede straordinaria.








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