2014-06-28 14:04:00

100.mo Grande Guerra. A Trento prima di "Sarajevo" di Piovani


Cento anni fa scoppiava la Grande guerra. A Sarajevo, l'assassinio dell'erede al trono asburgico Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia innescò la miccia di quello che sarebbe passato alla storia come il primo conflitto “mondiale”. E a Sarajevo sono previste numerose manifestazioni celebrative. Anche a Trento e a Rovereto prende oggi il via il progetto “Sentiero di Pace”. Tre giorni di eventi e concerti per lanciare un simbolico messaggio di pace e di fratellanza. L’inaugurazione, stasera alle 21 al Teatro Sociale di Trento, è affidata all’Orchestra e coro della Rai, per la prima assoluta di un brano commissionato per questa occasione al Premio Oscar Nicola Piovani. Il Maestro racconta al microfono di Gabriella Ceraso di che si tratta e cosa lo ha ispirato:

R. – E’ un brano sinfonico, intitolato “Sarajevo”, un brano di 9 minuti, in ricordo della grande e tragica Guerra del ’14-’18.

D. – Quando si compone per un evento storico, che ha lacerato popoli e nazioni, da cosa ci si lascia guidare? Da una immagine, da un ricordo, da una emozione?

R. – Io qui ho lavorato su Sarajevo. Era una bella domenica assolata, in cui dei ragazzi idealisti, fra i 19 e i 24 anni più o meno, armati di bombe, pistole e cianuro – per suicidarsi subito dopo – sono andati a compiere un gesto di libertà: uccidere un tiranno. Immaginavano si sarebbe alzato il tasso di libertà e di indipendenza. Invece, da quel gesto è nata una delle carneficine più brutte della storia dell’uomo: 18 milioni di morti, 8 milioni di civili e 10 milioni di militari. Quando diciamo 10 milioni di militari, lo diciamo pensando ad oggi, quindi pensiamo a dei professionisti che scelgono di fare la guerra. No, lì parliamo di ragazzi di 17 anni, strappati dalle campagne, con una pistola dietro la nuca e obbligati ad andare al fronte a sparare a qualcuno di cui non conoscevano l’identità, né conoscevano il motivo. Buttati in una trincea a dover scegliere o sparare ad un nemico o farsi sparare alle spalle dai militari, dagli ufficiali militari.

D. – Ne è nato un lavoro sinfonico, questo che lei propone, sostanzialmente diviso in due momenti, in due parti. Ce le racconta?

R. – Una è il momento di suspense ideale dei giovani che vanno a compiere un gesto che per loro è eroico. E poi uno sparo…. Di lì, un piccolissimo Requiem strumentale, in cui delle trombe cantano come se suonassero su un enorme cimitero di 18 milioni di persone. Alla fine, però, ci sono delle voci sintetiche, delle voci registrate, come fossero una folla che dice per tre volte la parola “Pax”, pace. Del resto, io sono un pacifista militante e quindi non potevo scrivere una musica dedicata a una guerra senza prenderne le distanze.

D. – La musica in questo caso serve a ricordare, a capire, spinge a riflettere: quale è la funzione che le attribuisce?

R. – Lo spero… La musica lavora più sulle emozioni che sui ragionamenti: se servisse a riempire di emotività il ricordo di una tragedia come quella, in qualche modo ha rinforzato l’idea pacifista che abbiamo noi oggi o almeno molti di noi guardando a quella guerra.

D. – Lei ha sempre portato avanti i due discorsi: l’attività per la musica da cinema, ma anche l’attività sinfonica … C’è stata una osmosi tra i due ambiti? Che cosa ha portato del cinema in questo tipo di repertorio?

R. – Immagino che il cinema abbia travasato nella mia scrittura sinfonica e da camera, diciamo, la vocazione narrativa: anche quando non c’è un testo da narrare, però un andamento e una dinamica narrativa. E poi, invece, la pratica sinfonica ha portato nel cinema, forse, un’abitudine alla complessità del linguaggio, anche per ritrovare un linguaggio semplice, come quello che serve per il cinema: semplice, ma non semplificato.








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