2014-07-15 09:21:00

Donne migranti al parto: l'esperienza di un ospedale romano


Dal 2006 l’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma ospita un servizio di accompagnamento al parto per le donne migranti. Molte giungono disperate e decise ad interrompere la gravidanza per la mancanza di opportunità e di futuro. Grazie a questo servizio, tante mamme hanno scelto di proseguire: lo racconta Mariarosa Martellini, infermiera professionale, responsabile del servizio di guida all’assistenza sanitaria per stranieri presso l’ospedale San Giovanni Addolorata. Solo alcune settimane fa le è stato conferito il premio “Il Buon Samaritano”, promosso dalla pastorale sanitaria nella diocesi di Roma. Benedetta Capelli l’ha intervistata:

R. – In questi ultimi anni è andato rafforzandosi il servizio per le mamme straniere con i bambini che arrivano nel nostro Paese e non hanno un’accoglienza adeguata. Diamo una piccola speranza a queste persone, che arrivano veramente disperate …

D. – Come approccia queste persone? Come approccia la disperazione delle mamme che spesso, proprio perché disperate, proprio perché senza mezzi, senza un futuro – almeno in prospettiva – decidono anche di interrompere la gravidanza?

R. – In questi anni un po’ anche la fiducia, il passaparola di questo servizio … noi un po’ le coccoliamo, le accogliamo, facciamo capire loro che il fatto di avere problemi economici, di non avere una casa non è un buon motivo per "rivolgersi" all’aborto. Quindi, cerchiamo in tutti i modi di recuperarle. Se vedono che qualcuno si interessa a loro, aprono un piccolo spiraglio ed è questo piccolo spiraglio che io cerco di captare. Ma con l’aiuto anche di tutti gli operatori dell’Ospedale San Giovanni, siamo riusciti a creare una bella rete all’interno dell’ospedale: diciamo che se io alzo il telefono, c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarmi!

D. – Come riesce lei a spiegare il valore della vita nascente ad una persona che viene da una cultura diversa dalla sua?

R. – Io penso che la donna è mamma ed è mamma in tutto il mondo! Quando la donna si rivolge a noi e chiede di poter ricorrere all’aborto, lo fa con una pugnalata nel cuore. La maggior parte di queste donne hanno bisogno di essere accompagnate, di essere rassicurate, trovare qualcuno che le aiuti a non aprire questa ferita. E questo penso sia molto importante.

D. – Ci racconta – se ci sono stati – momenti particolarmente negativi che lei ricorda in questa sua esperienza, e anche, per contro, ci regala un ricordo positivo che porta nel cuore?

R. – Una donna, un paio di anni fa, arrivata con un barcone, dalla Sicilia è giunta qui, a Roma. Si è accorta di essere incinta di una bambina con una malformazione. Abbiamo accompagnato questa donna fino al parto; purtroppo, lei aveva anche deciso di non vedere la bambina. Ha voluto che io l’accompagnassi in sala parto, e la cosa bella è che insieme al papà, insieme alla mamma alla fine siamo riusciti a far registrare questa bimba; l’ha chiamata Maria! Dopo una decina di giorni la bimba è morta, perché aveva una gravissima malformazione. Ma accompagnare questa mamma dal quinto mese, quella è stata una delle più grandi emozioni che ho avuto. La ricordo sempre con tanta tristezza, ma anche con tanta gioia perché questa mammina è riuscita alla fine ad accettare anche questa bimba, che poi è vissuta per pochi giorni, in quelle condizioni … Voglio dirne un’ultima – bella – che è successa qualche mese fa: si è rivolta al Servizio una ragazza che mi diceva di vivere sotto un ponte, in una piccola baracca, ed era incinta di due gemellini. Era molto disperata, non sapeva come fare, anche per questi bambini … Io ho alzato il telefono, ho chiamato la “Casa di Christian”, che è un centro di accoglienza della Caritas e le operatrici l’hanno subito accolta. Uno di questi due bambini l’ha chiamato con il nome del mio figlio più piccolo, che si chiama Emanuele. Sono nati un mese e mezzo fa: Emanuele e Samuele.








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