2014-07-24 15:15:00

Italia, 6 milioni e mezzo i volontari. Patriarca: è il Paese reale


Sono stati 6 milioni e 630 mila gli italiani impegnati nel volontariato lo scorso anno, regalando in media 19 ore al mese del loro tempo libero. Lo documenta il rapporto “Attività gratuite a beneficio di altri” 2013, pubblicato dall’Istat, insieme al Coordinamento nazionale dei Centri servizi per il volontariato (Csvnet) e la Fondazione volontariato e partecipazione. Il servizio di Roberta Gisotti:

Uno su otto gli italiani che hanno svolto attività di volontariato, da soli o in gruppi/organizzazioni, in prevalenza con finalità religiose-caritative (23,2%) o nel campo dell’assistenza sociale e della protezione civile (14,2%), o anche con scopi ricreativi e culturali (17,4%). Per la prima volta infatti il volontariato in Italia è stato valutato secondo gli standard più ampi dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Tra le motivazioni, quasi due terzi (62,1%) lo fa perché crede nella causa del gruppo, gli altri per dare un contributo alla comunità o seguire le proprie convinzioni o credo religioso. Volontariato di cui, a dire la verità, si parla poco nei media al di là di eventi eccezionali. Edoardo Patriarca, presidente del Centro nazionale volontariato:

R. – Eh sì, è proprio così. Nel senso che il racconto spesso è legato molto all’emergenza, ai terremoti, alla protezione civile; in realtà, abbiamo 6 milioni e più di italiani – una cifra davvero notevole – che dedicano il loro tempo gratuitamente e silenziosamente, nel quotidiano, per sostenere la comunità, soprattutto per costruire legami, legami di amicizia e di fraternità. Credo che questa ricerca davvero mostri – mi piace dire – il Paese che c’è, quel Paese che di fronte a questa crisi davvero lunga e troppo grave si è rimboccata le maniche e contribuisce silenziosamente a tenere unite le comunità. E questa è davvero una grande storia che meriterebbe sicuramente più attenzione.

D. – Il volontariato è sovente, quasi sempre, una scelta di vita. Ma in tempi di crisi è anche un modo per supplire alle carenze dello stato assistenziale?

R. – Sicuramente sì. Davvero la crisi apre una stagione diversa rispetto al welfare. Se prima si diceva che il volontariato non dovesse essere sostitutivo o comunque la funzione pubblica dovesse rimanere prioritaria, la più importante, oggi la crisi ci pone una sfida grandissima, quella di ripensare un welfare dove certamente l’ente pubblico avrà un ruolo significativo e importante ma sempre di più il volontariato e tutto il mondo del terzo settore non potranno davvero che essere protagonisti di politiche condivise con gli enti pubblici. Io spero che questa crisi ci porti in dono una sussidiarietà realmente praticata nel nostro Paese, che dia spazio e libertà alla capacità dei cittadini di auto-organizzarsi. Paradossalmente, la crisi può davvero farci pensare un’Italia migliore di quella che abbiamo conosciuto.

D. – C’è da sempre una polemica: il volontariato ‘ruba’ posti di lavoro?

R. – E’ una falsa polemica. Il volontariato c’è sempre stato e il fatto che sia molto presente nelle regioni del Nord – ed è un paradosso che smonta questa tesi che non ha alcun fondamento scientifico – sta a dimostrare come sia davvero cresciuto laddove c’era piena occupazione. Quindi, il volontariato non ‘ruba’ posti di lavoro; il volontariato cresce proprio laddove ci sono cittadini che hanno la serenità di lavorare, che hanno anche la serenità di un po’ di benessere economico e quindi non ‘ruba’ alcunché. La ricerca dell’Istat e della Fondazione volontariato e partecipazione ha quantificato le unità lavorative occupate, andando a calcolare le ore di volontariato, semplicemente per un esercizio di tipo statistico-economico, soltanto per dire che il volontariato, pur nella gratuità, dà un contributo elevatissimo alla ripresa di questo Paese.








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