2014-07-25 14:56:00

Sacerdote di Aleppo: popolazione stremata ma non disperata


Sono più di 70, nelle ultime ventiquattro ore in Siria, le vittime degli scontri tra esercito e jihadisti dello Stato islamico nel nordest del Paese. Il gruppo radicale continua la sua avanzata per estendere l’egemonia tra le province di Raqqa, Hassaka e Aleppo. E’ il primo confronto diretto tra Isis e regim, entrambi impegnati a loro volta contro i ribelli, in una situazione sempre più drammatica soprattutto per i civili, come racconta al microfono di Gabriella Ceraso il gesuita padre Ghassan Sahoui raggiunto telefonicamente ad Aleppo:

R. – Purtroppo, con questa crisi,tanta gente ha perso il lavoro. L’elettricità non viene quasi, forse una o due ore al giorno, e poi purtroppo da quasi due mesi tanta gente non ha più acqua e quindi camminando vediamo anche i bambini di quattro-cinque anni portare una cisterna di acqua, qualcosa di grande e pesante… Insomma, è una situazione davvero di miseria …

D. – E quale è oggi il vostro sforzo ad Aleppo per aiutare la popolazione?

R. – Proviamo ad aiutare chi ha perso il lavoro e che quindi non ha soldi per vivere, quelli che hanno lasciato le loro case, proviamo a dare loro qualcosa da mangiare, qualcosa per vestirsi, soprattutto per i bambini. Abbiamo creato un dispensario per aiutare anche dal punto di vista psicologico. Per le donne, cerchiamo di procurare lavori manuali… Non è facile, ma grazie a Dio ci sono persone che lottano per vivere e si ingegnano a creare nuovi lavori, che non cedono alla disperazione.

D. – L’avvicinarsi del pericolo dei jihadisti dello Stato islamico anche in Siria crea paura, per esempio, nella comunità cristiana, tra chi è rimasto?

R. – Percepiamo più forte l’incertezza per il futuro. Tanta gente ha già lasciato Aleppo e la Siria, ma quelli che sono rimasti credo che abbiamo scelto di rimanere perché vogliono fare qualcosa per aiutare gli altri cristiani e anche i musulmani, direi, che sono convinti della loro missione e della loro esistenza qui: non vogliono andare via.

D. – Quindi, la situazione è tutt’altro che pacificata, anche se noi rischiamo di dimenticarlo visto che ci sono dei drammi molto grandi, proprio al confine, in Iraq e in Terra Santa...

R. – Noi diciamo sempre: grazie a Dio, noi siamo vivi anche se con difficoltà e se non è proprio una condizione ideale. Ma almeno siamo vivi. Ma quando guardiamo all’Iraq oppure a Gaza, alla Terra Santa tutta, sentiamo una certa misericordia e una certa solidarietà con i nostri fratelli cristiani, ma anche con i musulmani, che subiscono da tutti questi danni, purtroppo.

D. – Se lei dovesse ora esprimere un auspicio guardando al futuro, cosa direbbe?

R. – Vorrei dire: basta con la violenza, la violenza non è la soluzione. Meglio sarebbe aiutare e incoraggiare il dialogo e la riconciliazione. E spero anche che la Chiesa in tutta la Siria sia più unita, che tutti noi collaboriamo insieme per dare la testimonianza che Cristo stesso si aspetta da noi come cristiani, qui, come cristiani di tutte le Chiese.








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