2014-07-28 13:24:00

Nuovi attacchi di Boko Haram colpiscono Nigeria e Camerun


Nel nord della Nigeria, nuovo attacco attribuito a Boko Haram: una kamikaze si è fatta esplodere all’interno di una fila per il carburante. Ancora imprecisato il numero delle vittime. E ieri, nel Camerun settentrionale, uomini armati, probabilmente appartenenti alla stessa setta nigeriana, hanno ucciso almeno 15 persone e rapito la moglie del vicepremier del Paese, asnsieme a un leader islamico locale. Queste azioni anche oltre i confini nigeriani, sempre più frequenti, indicano un disegno su larga scala di Boko Haram? Davide Maggiore lo ha chiesto a Marco Massoni, segretario generale dell’"Institute for Global Studies", esperto dell’area:

R. - Decisamente sì, ed è anche molto facile conseguire questo obiettivo, dal momento che il lungo confine tra Nigeria e Camerun è particolarmente poroso come tutto il resto dei confini fra Nigeria, Niger e queste zone dell’Africa Centrale verso cui si sta spostando il riassestamento geopolitico della zona.

D. - Qual è il significato di questo rivolgersi a obiettivi istituzionali? C’è una strategia di Boko Haram dietro?

R. - Da una parte, attori extraregionali, europei, sono riusciti a conseguire l’obiettivo di essere maggiormente presenti in Africa Occidentale e Centrale a seguito delle missioni avallate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana e nel Mali. Allo stesso tempo, “il nemico” sta cercando di alzare la posta e di andare “in parallelo” laddove c’è interesse strategico e maggiore presenza. In realtà, è un segnale nei confronti di Paul Biya, presidente del Camerun, e probabilmente è un segnale anche per le cancellerie europee.

D. - Ma perché proprio il Camerun ha visto questo aumento della presenza di Boko Haram? C’è semplicemente una questione di porosità delle frontiere e di vicinanza geografica o ci sono, ad esempio, motivazioni politiche?

R. - Il mezzo è quello geografico, quello del lungo confine, della prossimità, della vicinanza. L’obiettivo è politico perché il Paese è uno dei pochi a non avere ancora subito un grande riassestamento ad opera di questi grandi vettori, che in questi ultimi anni stanno modificando tutto le scenario geopolitico dell’area. Avvicinarsi sempre di più verso il Centrafrica è evidentemente l’obiettivo politico. Quello che è accaduto in Repubblica Centrafricana, in qualche misura, potrebbe avvenire anche in Camerun. L’interesse affinché ci sia un cambiamento può provenire sia da questi attori non statali, come Boko Haram o nuovi che dovessero costituirsi, sia da parte di attori extraregionali.

D. - Questa presenza internazionale di Boko Haram può far pensare a collegamenti con altre sigle del jihadismo?

R. - Questo è sempre possibile. Ovviamente, queste sono informazioni di intelligence difficilmente accertabili. È ovvio che dimostrando in questo modo la capacità di portare a termine obiettivi terroristici, lasciando intendere anche una visone politica di più ampio spettro, inevitabilmente altre sigle potrebbero essere sollecitare a stringere e a rafforzare legami che, in parte, esistono. Però, non nascondiamoci: Boko Haram opera da diversi anni in una maniera drammatica e non è mai stata data una risposta sufficiente per arginarlo. La mobilizzazione regionale è al centro delle notizie di cronaca di questi ultimi mesi. L’idea è che Nigeria, Camerun Ciad e Benin possano in qualche misura costituire questa forza che poi dovrà essere rafforzata dall’Unione Africana o addirittura da una forza Onu.

D. - Serve quindi una strategia internazionale per fermare Boko Haram?

R. - Una strategia internazionale, perché la forza delle operazioni di Boko Haram è legata al fatto di operare in territori che sono al di là del reale controllo delle autorità federali nigeriane e, a questo punto anche, dei Paesi confinanti, come in particolare lo stesso Camerun. Di conseguenza, laddove in tante porzioni di territorio si muovono indisturbati questi attori non statali, inevitabilmente bisogna trovare una forma rapida di soluzione al problema, che sicuramente non può avvenire nel breve e nel medio termine attraverso le istituzioni dei medesimi Stati chiamati in causa. Senza dubbio ci deve essere una risposta regionale.








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