2014-07-31 14:19:00

Argentina, prof. Carlà: secondo tempo del default del 2001


L’Argentina è ufficialmente in default, il secondo in 13 anni, e rivive così l’incubo del 2001, quando ci fu uno choc da circa 100 miliardi di dollari, con la disoccupazione al 25% e decine di migliaia di persone che si ritrovarono senza casa. Non è infatti andata in porto la trattativa tra Buenos Aires e gli hedge fund Usa - i fondi speculativi - che hanno rifiutato di partecipare alla ristrutturazione del debito. Standard & Poor’s ha da poco tagliato il rating argentino a “default selettivo”, comunque diverso da quello generale: secondo l’agenzia, il Paese onora gli impegni su certi titoli ma non su tutti.

Rispetto a 13 anni fa, il default riguarda una somma relativamente bassa, 539 milioni di dollari, bloccati dalla giustizia americana su un conto della Banca centrale argentina alla Bank of New York: tali fondi sarebbero dovuti servire a pagare gli interessi dei creditori che avevano accettato la ristrutturazione del debito argentino nel 2005 e nel 2010. Ma un giudice di New York ha impedito all’istituto di versare i soldi ai creditori fino a quando Buenos Aires non avrà versato la somma di 1,3 miliardi di dollari a due hedge fund, che invece non hanno accettato l’accordo e pretendono il rimborso della somma intera. Giada Aquilino ne ha parlato con l’economista Francesco Carlà, presidente di ‘Finanza World’, sito di informazione finanziaria:

R. - In realtà siamo di fronte agli strascichi del primo default che stanno portando l’Argentina a una nuova crisi in questo momento. In particolare si tratta di due fondi di investimento che non hanno aderito alla ristrutturazione del primo default: quindi, anche tecnicamente, è il ‘secondo tempo’ del primo default.

D. - Rispetto al 2001 le cifre appaiono diverse, più basse…

R. - Qui non è tanto un problema di cifre, quanto di negoziazioni che continuano, perché l’Argentina non può pagare in modo differenziato fino al 31 dicembre del 2014 questi due fondi rispetto a tutti gli altri creditori delle obbligazioni, con i quali aveva invece trovato un accordo per il 30% rispetto al capitale. Quindi le negoziazioni, secondo me, continueranno da qui al 31 dicembre 2014, perché quel giorno scade la cosiddetta clausola ‘Rufo’ (Right Upon Future Offers), che è in questo momento il problema vero dell’Argentina.

D. - In cosa consiste?

R. - Consiste nel fatto che non si possono differenziare i creditori. Quindi se ai due fondi di investimento, che beneficiano della sentenza del giudice americano, venisse dato anche un solo 1% in più rispetto a quello che è stato accordato agli altri obbligazionisti, anche a questi creditori spetterebbero le stesse condizioni. In quel caso salterebbe fuori un pasticcio finanziario enorme per l’Argentina, con la necessità di tirar fuori molti più soldi di quelli preventivati. Oggi non è un problema di soldi per Buenos Aires, quanto un problema di complicate questioni legate a come si gestiscono i vari obbligazionisti del primo default e al problema che ha creato - all’Argentina - la sentenza del giudice americano.

D. - A proposito di questa sentenza, la giustizia interna di un Paese può influire sulle politiche economiche di un altro Paese?

R. - In effetti è un po’ anche questa la questione: la presidente argentina Cristina Kirchner sta cercando proprio in questo periodo - da quando cioè è uscita la sentenza americana - di invitare i creditori ristrutturati, cioè gli obbligazionisti con i quali è stato trovato un accordo, a passare sotto la legge argentina; in tal modo si sottrarrebbero i titoli in loro possesso alla giurisdizione americana e quindi potrebbe pagarli senza incorrere nel divieto della sentenza.

D. - Al momento cosa rischia l’Argentina con questo default, che tra l’altro non accetta?

R. - L’Argentina ha due ordini di rischi. Il primo è che i mercati reagiscano immediatamente male allo scenario e creino un problema legato alla sua condizione economico-finanziaria, che già non è decisamente florida. Pensiamo soltanto ad un dato: l’Argentina ha un’inflazione reale al 35% in questo momento. L’altro problema è legato ai cosiddetti Cds, cioè i ‘Credit default swap’, che sono quei famosi contratti assicurativi finanziari che rischiavano di far saltare per aria prima il sistema finanziario americano, poi quello europeo e pure quello italiano. Il problema come sempre è finanziario in questa fase: se l’Argentina non riesce a trovare un accordo con il quale mette tutti gli obbligazionisti sullo stesso piano - sia quelli che hanno trovato un accordo, sia i due hedge fund, i ‘fondi avvoltoio’ come li chiamano loro o semplicemente quelli che non sono stati alle condizioni dell’Argentina - allora per Buenos Aires ci sono due tipi di problemi. Sarà sempre più difficile rifinanziarsi e rifinanziare il proprio debito, quindi avrà dei problemi a ritornare al suo scenario finanziario globale, e contemporaneamente - quando si inaridiscono le fonti finanziarie - anche l’economia ne subisce dei contraccolpi notevoli e può andare in default. Qui c’è pure una lezione importante per tutti gli euroscettici degli ultimi tempi: non basta avere una moneta propria, una sovranità monetaria, per invertire i problemi economici di un Paese. 








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