2014-07-31 15:16:00

Card. Vegliò: aiutiamo i migranti, l'Europa faccia la sua parte


Dal crotonese alla Sicilia nelle ultime ore si sono susseguiti gli sbarchi di migranti che sono giunti anche in Puglia. Tra le centinaia di persone, decine di minori e alcune donne in stato di gravidanza. Si ritorna quindi alle polemiche nate con l’operazione Mare Nostrum, sulla necessità di potenziarla e di avere un forte sostegno da parte dell’Unione Europea. ‘Occorre fare il possibile a tutti i livelli’ è la sollecitazione del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, il quale incita l’Europa ad aprirsi e a mantenere le promesse fatte ai Paesi di origine dei migranti. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. - Io penso che sia un grave problema il fatto che tutti i giorni arrivano e tutti i giorni muoiono. Ciò che si prova non dico sia un senso di vergogna, perché poi che colpa ne abbiamo noi, però crea un enorme senso di disagio leggere o vedere queste notizie. I migranti non possono certo essere considerati un elemento marginale o transitorio dell’attuale periodo della storia umana, ma si tratta di una realtà in espansione, purtroppo. In  primo luogo, tutti noi dobbiamo sentirci interpellati a fare il possibile affinché nei Paesi d’origine si creino le condizioni che permettano a queste persone di vivere una vita dignitosa. E questo è veramente un desiderio che è difficile realizzare, perché sappiamo tutti come l’Europa si fosse impegnata a dare un tanto del suo Pil in modo da far sviluppare i Paesi da dove provengono i migranti, ma poi quasi nessuno, eccetto qualche Paese del Nord Europa, ha mantenuto le promesse fatte. Allo stesso tempo, però, tutti dobbiamo impegnarci a venire incontro alle necessità di coloro che devono fuggire e affrontare viaggi colmi di sventure, che non di rado si trasformano in tragedie. E ne abbiamo gli esempi tutti i giorni purtroppo. La costruzione di una società più accogliente richiede quindi grande disponibilità e superamento dei pregiudizi, mediante concreti gesti quotidiani. Posta questa premessa, è urgente collaborare a diversi livelli per unire le forze al fine di prevenire queste stragi vergognose. Qui tutti hanno un ruolo da giocare. Il Santo Padre ha rivolto un forte appello anzitutto agli Organismi che, tanto a livello nazionale che internazionale, dovrebbero garantire che ogni persona sia considerata a partire dalla sua dignità, senza distinzione di appartenenza etnica o di status giuridico. Le istituzioni civili, poi, devono, dovrebbero agire con maggiore coordinamento e con autentico spirito di collaborazione, per la creazione di un mondo più giusto, più solidale, più umano.

D. – Eppure, non di rado, anzi con sempre maggior frequenza, a vari livelli, c’è molta indifferenza  nei confronti dell’accoglienza…

R. - Questo è anche umano, si capisce no! Perché quando tutti i giorni, almeno da quello che riportano le notizie, arrivano questi barconi pieni di questi poveri amici, fratelli nostri, viene da dire ma quanti ne devono arrivare ancora? Quanti ce ne sono in Africa che attendono la possibilità di imbarcarsi alla meno peggio? Anche perché ci sono quelli che si imbarcano spendendo meno, e li mettono - poveracci - nei posti più difficili, e non sempre arrivano e lo sappiamo di cosa parlo. E poi ci sono quelli che pagano un po’ di più e magari vengono messi sul ponte dove possono respirare l’aria e avere più possibilità di arrivare vivi laddove vorrebbero andare. E però nello stesso tempo, questo fatto che deve preoccupare ogni governo, e anche noi cristiani non possiamo essere così naif e dire “sì venite tutti, siamo tutti fratelli”: non si può ragionare in questo modo. Però nello stesso tempo la globalizzazione dell’indifferenza è l’effetto doloroso di un modo di vivere fortemente basato sulla cultura del benessere, insensibile alle grida di aiuto di tanti. Io sono stato il 6 luglio a Lampedusa per il primo anniversario della visita del Papa, e mi permisi di dire: che meriti abbiamo noi che siamo nati e viviamo in un Paese civile, ricco, per quanto conosca delle difficoltà, di una cultura non indifferente, dove possiamo vivere liberi, e tranquilli. E al contrario che demeriti hanno questi poveracci che vivono in Paesi dove non riescono a mangiare, dove non sono assicurati nel lavoro, nella casa e addirittura nella loro vita? Come possiamo impedire a questa gente di venire da noi o costringerli a tornare in un Paese che nemmeno può garantire loro la vita? Per superare questa indifferenza, bisogna cambiare il modo di guardare alla migrazione, a livello nazionale e internazionale, cominciando in concreto dalla propria vita personale. Come ha detto Papa Francesco, occorre avere la capacità di passare da una “cultura dello scarto” a una “cultura dell’incontro e dell’accoglienza”, guardando alla migrazione da una prospettiva umana, cioè dal punto di vista della persona, con i suoi diritti e i suoi doveri. Certo, noi cristiani dobbiamo essere di esempio nell’accettare chi arriva, il nostro prossimo. Sensibilizzare la comunità ecclesiale e l’opinione pubblica ai problemi dei migranti e dei rifugiati rientra nei compiti pastorali del nostro Pontificio Consiglio. Pensando alla propria vita, ciascuno di noi dovrebbe riflettere su come incide realmente quella “globalizzazione dell’indifferenza” della quale ci ha parlato il Santo Padre un anno fa nella visita a Lampedusa.

D. – Negli ultimi mesi con l’operazione Mare Nostrum l’Italia è stata davvero in prima linea nel tentativo di aiutare e di soccorrere i migranti a bordo dei barconi che attraversano il Mediterraneo. In questa occasione più di una volta è stato richiamato il ruolo dell’Europa e la necessità che l’Europa si mostri compatta e unita nell’assistenza verso queste persone. Lei ritiene che ci sia questa unità?

R. - Noi si dice sempre, a torto o a ragione, che l’Europa dovrebbe aiutare di più perché noi in questo caso non siamo Italia solo ma siamo un po’ i confini dell’Europa. Però non dobbiamo dimenticare nemmeno che l’Europa da’, e da’ parecchio, non è sufficiente, è vero, dovrebbe dare di più e avere più coscienza del fatto che Italia, Spagna, e Grecia sono i confini dell’Europa del Sud, ecco allora che si dovrebbe sentire certamente più impegnata. Ma ci sono delle leggi a livello europeo che prevedono, e faccio un esempio, che se un migrante o se un rifugiato arriva in Italia e non vuole restarci ma vuole andare in Francia, è solo un esempio, la Francia lo blocca perché secondo i patti che i Paesi europei hanno sottoscritto, il Paese che accoglie questi migranti e questi rifugiati è il Paese che deve prendersi cura di queste persone. Ecco, quand’è così, l’Europa aiuta e non, perché se si volesse aiutare meglio bisognerebbe permettere a questa gente di andare dove vuole, poi è innegabile che finanziariamente l’Italia è stata esemplare con tutto il progetto di Mare Nostrum e che l’aiuto dell’Europa c’è stato ma non è sufficiente. L’esodo di numerose famiglie, soprattutto dal Corno d’Africa e dal Medio Oriente, tocca immediatamente tutti i Paesi del Mediterraneo, che sono, per loro, la via d’accesso all’Europa. Questo fenomeno pertanto riguarda l’intera comunità dell’Unione Europea. L’Europa vanta a buon diritto una lunga storia di civiltà e di accoglienza, volta a promuovere e tutelare i diritti dei singoli e delle comunità, comprese le minoranze etniche. Infatti, l’esperienza della migrazione di massa, di cui il nostro Continente è stato protagonista nel secolo scorso, ha fortemente ispirato le scelte politiche degli Stati membri per governare il fenomeno attuale dell’immigrazione. Tutto questo a partire dalle sue radici cristiane, dove la solidarietà e il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana costituiscono un importante punto di riferimento. Per non tradire il suo passato e per costruire un futuro migliore, l’Europa ha quindi una via irrinunciabile da percorrere: quella che tutela, rispetta e promuove la persona umana nella sua integralità, soprattutto con attenzione a garantire le fondamentali libertà. Di conseguenza, la Comunità internazionale deve adottare misure concrete, fattibili e lungimiranti per un’azione concertata a tre livelli. Anzitutto, perché le popolazioni siano aiutate nei Paesi d’origine, facendo il possibile perché si realizzi il diritto a non emigrare, e qui ritorno a quanto detto prima, a ciò che l’Europa che aveva promesso di dare ai Paesi di maggiore emigrazione, e che poi non ha dato.   In secondo luogo, sono importanti le convenzioni bilaterali e multilaterali, che offrano sicurezza a coloro che emigrano. Nel caso delle migrazioni forzate, è indispensabile l’apertura di canali umanitari, che però devono avere un carattere tempestivo e provvisorio, in risposta a vere emergenze.  Infine, la sinergia di tutte le forze disponibili non deve mancare nei processi di sostegno e di integrazione, dove si favorisce la crescita di società che rispettano le diverse identità nella costruzione dell’unità, tendendo al bene comune. Le questioni poste dai flussi migratori toccano anzitutto la realtà stessa dell’emigrazione: correttamente gestita, nella regolarità e nella sicurezza, essa non è una minaccia, ma può essere un’opportunità per l’Europa, che oggi appare stanca e invecchiata. Quando l’Europa riconosce le radici cristiane della sua generosa apertura al prossimo, il continente ringiovanisce, poiché le sue radici sono caratterizzate dall’accoglienza, dal rispetto della diversità e dalla ricerca del bene comune. Auspichiamo, auspico, pertanto un’Europa aperta, solidale, rivolta allo sviluppo umano integrale e al bene comune, ove favorire esperienze di dialogo e ambiti di scambio culturale, sociale ed economico. Verso queste persone l’Europa deve continuare a compiere ogni sforzo tanto nell’ambito della loro accoglienza quanto in quello della loro integrazione.

 








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