2014-07-31 15:01:00

Chiude “L’Unità”. Tranfaglia: crisi della stampa e divisione nel Pd


“L’Unità è viva”, titola l’ultimo numero, oggi in edicola, del quotidiano fondato il 12 febbraio del 1924 da Antonio Gramsci. Organo ufficiale del Partito comunista Italiano, quindi del Pds e dei Ds fino 1991, rimasto di proprietà del Partito fino 1996, poi ceduto a privati, resta testata storica di riferimento del Pd, che nel 2011 ne acquisisce una piccola quota societaria. Ma il giornale perde lettori e sostenitori. Ieri l’accusa del direttore Landò: “hanno ucciso l’Unità”. Roberta Gisotti ha intervistato Nicola Tranfaglia, storico del giornalismo italiano:

R. – Credo che la crisi dell’Unità derivi sia dalle grandi trasformazioni tecnologiche – che tra l’altro proprio in Europa, particolarmente in Italia, hanno fatto dei canali televisivi il mezzo di comunicazione egemonica – sia dal fatto che l’eredità del Partito Comunista ha generato all’interno del Partito Democratico – una delle componenti maggiori di questa eredità – interne differenziazioni. Per cui, l’attuale presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, non è mai stato d’accordo con la linea del giornale – a cui io ho collaborato per 30 anni – perché questa linea è legata più ad un altro importante esponente del Partito Democratico che è stato a lungo segretario, Pierluigi Bersani. Questa differenza di indirizzo ha condotto poi - in un momento di difficoltà di tutta la stampa italiana che ha perso molte testate – a questa decisione molto dolorosa per tanti lettori e simpatizzanti che hanno seguito in tutta la loro vita ed anche nella giovinezza un giornale che era per la difesa della Costituzione repubblicana del 1947 e per la coalizione del Centro Sinistra. Questo è quello che noi possiamo dire, sperando che ci siano forze sane che prendano in mano questa eredità e che conducano l’Unità ad una nuova stagione. Questo Partito Democratico è fatto da cattolici e non cattolici, da socialisti e liberali; quindi, al suo interno ha tutte le forze legate all’eredità della nostra grande Costituzione repubblicana che ancora oggi appare una delle migliori Costituzioni europee.

D. – Continuano a chiudere i giornali e perdono spettatori anche le televisioni generaliste. È un rischio per la democrazia se i cittadini perdono riferimenti di identità di massa e si disperdono nei rivoli della rete e dei social network?

R. – Non c’è dubbio. Questo costituisce un pericolo, anche perché  vorrei ricordare che noi siamo nella Comunità dell’Osce – comunità di 31 Stati, che al suo interno ha tutti gli Stati europei ma anche Stati non europei – e siamo tra gli ultimi per i livelli di istruzione media; questo è noto. Quindi, siamo un Paese di scarsa lettura; se poi non esistono nemmeno i quotidiani che ogni giorno ci danno un quadro – se pur discutibile – di quello che succede, le cose sono ancor più drammatiche. Almeno, io penso siano più drammatiche e che sia necessario sostenere gli sforzi di quelli che fanno questo mestiere con onestà e con pulizia.

D. – E’ giusto quindi lanciare un campanello di allarme, al di là poi del credo politico dei cittadini?

R. – Assolutamente sì, il credo politico non c’entra. Quello che conta è essere favorevoli ad una società contemporanea che sia il più possibile giusta e tale da crescere generazioni consapevoli dei doveri e dei diritti; come appunto dice la nostra Carta Costituzionale scritta dopo la Seconda Guerra Mondiale proprio dai partigiani cattolici e non cattolici, socialisti e liberali, democratici e comunisti. Quindi, tutti hanno scritto la Carta Costituzionale. Secondo me i valori che sono scritti in quella Carta sono ancora attuali.








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