2014-08-10 09:48:00

Libano: torna l'ex-premier Hariri per rafforzare l'esercito contro la jihad


L’avanzata dello Stato Islamico in Medio oriente non risparmia neanche il Libano. I jihadisti hanno attaccato la città di Arsal, al confine con la Siria e sono stati respinti dall’esercito libanese dopo cinque giorni di scontri. A Beirut, intanto, è tornato dopo tre anni di assenza l’ex-premier Saad Hariri, figlio di Rafiq assassinato del 2005, per appoggiare l’esercito nazionale contro gli estremisti. Ma qual è il ruolo del Libano nell’attuale crisi mediorientale? Michele Raviart lo ha chiesto a Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa da Beirut:

R. – Il Libano è coinvolto sin dall’inizio nella lotta per il potere in Siria - lo era già prima del 2011- e, come l’Iraq, è coinvolto nella guerra di potere tra Iran e Arabia Saudita a livello regionale. Piuttosto, come l’avanzata dello Stato islamico da qualche mese ha dimostrato, la regione è da considerare come un unicum, in cui il vuoto lasciato dal regime siriano, dal governo Maliki iracheno e in parte - da molto tempo, da decenni – dallo Stato libanese, può essere riempito da altri attori informali: Hezbollah nel Sud del Libano; le milizie sciite iraniane in parte della Siria; miliziani anti regime e jihadisti di varia natura in ampie regioni dell’Iraq e della Siria.

D. – Perché la città di Arsal è stata attaccata dai jihadisti?

R. – La cittadina di Arsal sin dall’inizio dello scoppio della rivoluzione siriana nel 2011, come enclave sunnita in una regione a maggioranza sciita dominata da Hezbollah, ha costituito da sempre una base, un passaggio per uomini, armi, solidarietà medica tra la regione siriana del Kalamun, limitrofa ad Arsal, e la valle Beqā libanese. In questo contesto, lo Stato islamico o i jihadisti vari, come hanno già fatto in Siria e in Iraq, cercano di infilarsi in questi vuoti di potere sunniti. Certo, non vanno a rischiare di entrare in competizione diretta con gli Hezbollah libanesi o, in altri territori, dove la popolazione non sarebbe in qualche modo potenzialmente solidale con loro. Ecco la questione di Arsal va inquadrata in questo senso e non nel senso che il Libano, in quanto Stato è coinvolto in una guerra che coinvolge già Siria e Iraq. Dobbiamo dimenticarci di questo Medio Oriente, come se fosse un’Europa con vari Stati nazionali…

D. – Saad Hariri è tornato in Libano, dopo tre anni di assenza, con un miliardo di dollari, dono dei sauditi da spendere per l’esercito libanese...

R. – Il ritorno con le fanfare di Hariri va inserito in una crisi culturale e politica profonda del sunnismo moderato libanese, che la famiglia Hariri in qualche modo incarnava da anni. La sua assenza, anche fisica, ha contribuito alla radicalizzazione del sunnismo in Libano, che si è spinto sempre di più verso lo Stato islamico, verso lo jihadismo, che comunque, come sappiamo, è ostile anche alla politica saudita, che sponsorizza Hariri. E’ tornato, quindi, con una valigia carica di soldi per fare cosa? Per ricomprare quei sunniti che si stanno spingendo verso un sunnismo sempre più radicale e riportarli ad un sunnismo che possiamo dire moderato.

D. – Come sarà speso in pratica questo denaro?

R. – La notizia vera è che qualche elemento dell’Esercito libanese per la prima volta ha disertato per associarsi ai jihadisti, proprio nella regione di Arsal. Per la prima volta, dopo la fine della guerra civile, l’Esercito libanese sembra non essere più un’istituzione super partes. Hariri cerca adesso, con questa valigetta piena di soldi, di riportare l’esercito libanese sotto un cappello sunnita-sciita unitario, con un accordo che potrebbe in qualche modo riguardare sia l’Iran, che sponsorizza gli Hezbollah, sia l’Arabia Saudita.

D. – A livello di società civile, quanto attecchiscono i jihadisti nel territorio libanese?

R. – In questo periodo di polarizzazione confessionale e di lotta per il potere, più che di società civile, ciascuna comunità si chiude al suo interno e cerca solidarietà clanica, tribale, familiare e anche confessionale. In questo senso, il discorso, la retorica, la pratica dei jihadisti non si basa sul sostenere la società civile in quanto tale, si basa soltanto sull’acquisire consenso, dando elettricità, pane, acqua e servizi essenziali alla comunità che mi deve sostenere. Un po’ come fa Hezbollah da più di 20 anni nel Sud del Libano, un po’ come faceva Hamas nella Striscia di Gaza, un po’ come fanno tutte le mafie, che hanno bisogno di acquisire potere al di là di uno Stato, che nel caso libanese fatica molto ad imporre la propria autorità.








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