2014-08-13 15:43:00

P. Rossi De Gasperis: lo Spirito "motore" del cristianesimo in Asia


La visita in Corea che inizierà domani a Seoul sarà anche preludio di un non lontano ritorno in Asia di Papa Francesco, che si recherà nel prossimo gennaio anche in Sri Lanka e nelle Filippine. Si tratta di tre Paesi piuttosto differenti fra loro e in cui le comunità cristiane hanno avuto percorsi di nascita diversi. Tuttavia, la storia del cristianesimo in queste periferie asiatiche presenta dei tratti comuni, come la radicalità della fede e la profondità spirituale. Lo sottolinea padre Francesco Rossi De Gasperis, biblista e già missionario in Giappone, intervistato da Stefano Leszczynski:

R. – La Chiesa in Corea è nata verso la fine del XVIII secolo da laici, che erano interessati alla vita spirituale, interessati alla verità: quindi una Chiesa che è nata così, senza missionari. Soltanto più tardi, Papa Gregorio XVI è stato raggiunto dalla richiesta di questi coreani che chiedevano qualche missionario. E poi, pian piano, è rinata la Chiesa che oggi è molto fiorente.

D. – Cosa insegna alla Chiesa di oggi il fatto che il cristianesimo in Corea si sia diffuso senza che vi fosse una struttura istituzionale a promuovere questa evangelizzazione?

R. – E’ lo Spirito che ha portato questa curiosità di conoscere qualche cosa che sta al di là della nostre cognizioni e che forse è un messaggio di verità, in cui appunto l’azione dello Spirito ha fatto riconoscere a questa comunità la verità che cercavano. Che cosa insegna? Oggi è vero – e mi pare che questo sia il problema principale del cattolicesimo italiano – che noi siamo “soffocati” dai Sacramenti: non facciamo che amministrare Sacramenti, senza che la gente sappia esattamente che cosa siano. Infatti uno dei problemi che si sta studiando, anche adesso per il Sinodo sulla famiglia, è che cosa vuol dire “Matrimonio Sacramento”? Perché in Corea senza Sacramenti, senza Battesimo si è istaurata una comunità cristiana, partendo dalla fede.

D. – Come si fa, a questo punto, a immaginare, ad esempio in Occidente, un percorso inverso, quindi un percorso che riporti alla fede?

R. – Qui direi che abbiamo già tracciato delle vie con il culto della Parola: siamo ritornati alla Parola e quello vuol dire ritornare alla fede, ritornare all’ascolto. Se poi il cuore vibra alla Parola vuol dire che qualche cosa si è messo in moto. Quindi, direi che la via è quella ma certo non è la maggioranza delle comunità che in Italia – anche solo in Italia – partono dalla Parola e vivono partendo dalla Parola. Il Sacramento dovrebbe arrivare alla fine. Quando tre anni fa, mi pare a Madrid, ci fu quell’Adorazione Eucaristica di notte – ne parlava padre Lombardi, anche perché lui era presente – in cui due milioni di giovani pregavano con il Papa e venne un temporale terribile che distrusse 18 tende in cui erano custodite le particole da consacrare il giorno dopo nella Messa e non si poté consacrare niente, perché tutte le particole erano bagnate – io dissi: “Ecco, il Signore ci ha dato una lezione, dicendoci ‘Lasciate perdere le particole, lasciate perdere le ostie, perché l’Eucaristia non sono le ostie, siete voi che date la vita per i fratelli’”. Quando due milioni di giovani da tutte le parti del mondo stanno insieme, pregano insieme, questa è l’Eucaristia: c’è già l’Eucaristia! Non c’è bisogno di dare l’ostia. E’ paradossale se vogliamo, no?

D. – Quindi dall’Asia, in sostanza, ci può arrivare un messaggio positivo su come ripensare la nostra fede…

R. – Non credo che l’Asia ci dia questa lezione, però dalle comunità che sono in Asia, proprio perché sono in un certo senso, se vogliamo, più libere da certe ufficialità greco-latine, arriva questa libertà spirituale dove c’è una profondità spirituale autentica. Io credo che da lì possiamo avere delle buone indicazioni.

D. – Questa può essere anche un’occasione non soltanto per i cattolici, ma per tutto il mondo cristiano, di ritrovarsi su una base comune solida…

R. – Certo! L’ecumenismo bisogna che parta dalla fede e la fede parte da Gerusalemme, tra l’altro, perché Paolo VI e Atenagora non si sarebbe potuti abbracciare se non a Gerusalemme: proprio perché lì è nata la Parola.

D. – Perché Papa Francesco ha scelto o ha comunque ritenuto che l’Asia dovesse essere una priorità nel suo Pontificato?

R. – L’Asia è dove la Chiesa è nata: è la culla della Chiesa. La Chiesa non è occidentale, è orientale. Il cristianesimo è l’Occidente secondo molti, ma questo è falso! E fa da ostacolo ai non occidentali il fatto di dover diventare occidentali per diventare cristiani.

D. – Molti Paesi asiatici sono alle prese con un fortissimo sviluppo, tutti i difetti della globalizzazione, materialismo, secolarizzazione… Come si concilia con questo desiderio di spiritualità più profonda?

R. – Purtroppo, io credo che sia una infezione che stanno prendendo dall’Occidente in tante aspirazioni: vengono a cercare delle cose, come se noi ne avessimo di più di loro. Io credo che dovrebbe essere quasi l’opposto: andare noi a imparare qualche cosa da loro, dando meno importanza a questa crescita economica. Non si può crescere in continuazione! C’è quindi un equivoco: c’è un equivoco tra l’Occidente e l’Asia su cosa sia il benessere. Speriamo che ci sia un connubio dal quale uscire nutriti tutti e due, in senso buono piuttosto che in senso cattivo.








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