2014-08-18 10:08:00

Msf: 6 mesi per contenere Ebola. Missionario: controlli difficili


Continua l’allerta per il virus Ebola che ha finora colpito quattro paesi africani: Guinea, Sierra Leone, Liberia e Nigeria. L’ong Medici senza frontiere ha ribadito che potrebbero volerci oltre sei mesi per mettere sotto controllo l’epidemia. Basso, secondo altri esperti, il rischio di propagazione in Europa e Usa, ma in Austria si indaga sulla morte di una donna appena tornata dalla Nigeria. Intanto, in Liberia, secondo un quotidiano locale, le Forze armate avrebbero ricevuto l’ordine di sparare a vista su quanti entrino illegalmente dalla Sierra Leone. E proprio da quest’ultimo Paese arriva la testimonianza del Missionario saveriano, padre Michele Carlini, raccolta da Davide Maggiore

R. – Le autorità hanno isolato le due province maggiormente colpite nella nazione, quelle di Kenema e di Kailahun: non si può entrare, né uscire da quei distretti per paura, appunto, che le persone portino il virus altrove. Le persone adesso si rendono conto che il problema esiste veramente, adottano quelle precauzioni che anche noi nelle chiese avevamo consigliato di prendere. Quello che cambia in peggio è il fatto che adesso gli ospedali si stanno svuotando perché hanno paura, i malati, di andare all’ospedale perché se lì ci fosse un caso di Ebola loro stessi potrebbero esserne contagiati. Quindi, non vanno per paura di contagio e se ci sono sintomi che possano fare pensare a Ebola, i pazienti vengono messi in quarantena, isolati e questo veramente fa paura.

D. – Si può fare qualcosa per vincere questa paura? E anche voi, come religiosi, state cercando di fare un’azione di sensibilizzazione?

R. – Sì, noi abbiamo la radio diocesana che dà informazione. Durante le Messe, cerchiamo di raggiungere le persone quando si riuniscono e diamo le informazioni che anche noi riceviamo. Trasmettiamo i comunicati fatti dal presidente che ha emesso delle normative restrittive. La situazione è seria. I cinesi hanno un ospedale costruito da pochissimo, bello, ma hanno avuto un caso di Ebola e quindi adesso tutto il personale che è stato vicino a questa persona è in quarantena per 21 giorni. Le persone malate cercano di fuggire perché hanno paura di queste forme così rigide di isolamento. Vanno negli altri ospedali, con sintomi simili alla malaria o al tifo, dicono: “Ho la malaria o il tifo” e quindi trasmettono questa malattia agli altri ospedali. E’ difficile veramente, convincere le persone ad aspettare, a rimanere nei loro luoghi di origine, a non viaggiare, a non trasferirsi…

È però in Liberia che si registra il più alto numero di vittime accertate del virus: 413. Domenica scorsa, nella capitale Monrovia un centro sanitario è stato preso d'assalto da uomini armati. Questo ha permesso la fuga di 17 pazienti, tutti malati. Ma qual è la percezione del rischio tra i liberiani? Davide Maggiore ha raccolto la testimonianza del nunzio apostolico a Monrovia, mons. mons. Miroslaw Adamczyk:

R. – La gente è molto cosciente del pericolo. Anche le nostre parrocchie cattoliche e anche altre, di altre confessioni cristiane: la Messa domenicale serviva spesso per dare istruzione e informazioni su come evitare questa malattia. Certo che c’è paura: panico no, ma paura, precauzione senz’altro sì. Il nostro ospedale cattolico di San Giuseppe, guidato dai Fatebenefratelli, ha subito gravissimi danni. La comunità dei Fatebenefratelli, padre Miguel, fratello Patrick e George, tutti sono già morti…

D. – In questa situazione così drammatica, quindi, non c’è da parte della popolazione una sottovalutazione della malattia come è successo invece in altre parti dell’Africa colpite da Ebola?

R. – Questa sottovalutazione c’era all’inizio, anche perché forse mancavano un po’ di prudenza e di precauzione. Però, adesso non credo che la gente la prenda alla leggera: no, questo no. La questione è che ogni sistema sanitario e amministrativo nel momento di un’epidemia di una malattia così grave fa fatica a rivedere tutto.

D. – Abbiamo accennato alle difficoltà del sistema sanitario: di cosa c’è particolarmente bisogno?

R. – Prima di tutto, ci vogliono i mezzi di protezione perché in questo momento i medici e anche gli infermieri spesso hanno paura di un contatto diretto con i malati e allo stesso tempo la gente ha paura di andare all’ospedale. Fratello Patrick, prima di morire, è venuto qui da me a cercare – giustamente – fondi per compare i guanti e i mezzi di protezione. Poi, adesso succede che siccome c’è un po’ di paura, incominciano ad aumentare i prezzi degli alimenti e così via...








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