2014-08-19 12:52:00

Libia. Stati Uniti negano il coinvolgimento nei raid su Tripoli


Tensione in Libia dove anche questa notte si sono registrati raid aerei su Tripoli e lancio di missili Grad nella zona dell’aeroporto. Intanto, è ancora giallo sul bombardamento compiuto da due caccia non identificati sulla capitale che ha ucciso 5 persone, portando a 600 i morti negli ultimi mesi. Dopo la smentita di Onu, Francia, Italia e Stati Uniti che hanno negato la loro responsabilità nell’azione, oggi è arrivata la rivendicazione da fonti vicine al generale ribelle, anti-islamista Khalifa Hafthar, secondo cui l'obiettivo era la rivale Brigata di Misurata, ma l’Aeronautica ha ribadito che si trattava di aerei stranieri e non libici. Preoccupazione per la recrudescenza del conflitto è stata espressa dalla Lega Araba, che si dice contraria a ogni intervento straniero, mentre Roma e Parigi hanno lanciato un nuovo appello per un accordo politico nel Paese. Al microfono di Cecilia Seppia, l’analisi di Bernard Selwan Elkourì, esperto dell’area della rivista di geopolitica Limes:

R. - Sono diverse settimane che è in atto una vera e propria guerra anche a Tripoli, dopo Bengasi, tra due fazioni per il controllo totale della città. Le due fazioni sono principalmente legate alle due città-simbolo dei ribelli libici che hanno preso parte alla “Guerra di liberazione” - come la chiamano loro - del 2011. Quindi, da una parte ci sono i ribelli di Misurata e dall’altra quelli della città di Al-Zintan. Anche in questo caso emerge uno scontro tra le due anime del Paese: l’anima islamista, con la sua ala armata, e l’altra ala che possiamo definire "liberare". Questi sono i due schieramenti che si stanno combattendo a Tripoli e questa operazione è stata denominata da parte delle forze islamiste “Operazione alba della Libia”, con l’obiettivo di cacciare due brigate che sono accusate di non essere altro che residui del vecchio regime. L'altra operazione, è quella guidata dal generale ribelle Haftha,r che è stata invece chiamata "Operazione dignità".

D. - C’è stato, la scorsa notte, un raid effettuato con due caccia non identificati. Oggi, è arrivata la rivendicazione da uno dei comandanti vicini al generale ribelle Hafthar. Si può escludere totalmente l’attribuzione di questo raid a forze straniere, come Francia, Italia e Stati Unit,i che hanno appunto negato il loro coinvolgimento? Cioè può essere plausibile che sia Hafthar ad avere condotto raid?

R. - In realtà, sono proprio i libici - l’opinione pubblica, i funzionari e anche i capi delle milizie - che sono molto confusi riguardo a questo e la stampa libica locale rispecchia tale confusione. Detto questo, è ovvio che le forze del generale Hafthar hanno promesso già da diverse settimane di estendere le loro operazioni da Bengasi anche a Tripoli… Quindi, queste dichiarazioni vanno prese, per il momento, con la massima prudenza e la massima attenzione perché è ovvio che attualmente ogni ministro, ogni gruppo ha intenzione di sfruttare anche quella che è l’arma mediatica per cercare di indebolire la fazione opposta. Quello che ancora non è chiaro - e su cui bisogna avere delle conferme - è se in realtà si sia trattato di due caccia o soltanto di due aerei militari droni che sono predisposti per lanciare degli ordigni esplosivi.

D. - L’Italia, assieme alla Francia, ha lanciato un appello per un accordo politico nel Paese. Però, siamo - politicamente parlando - ancora molto lontani da questo…

R. - Assolutamente. L’agenda politica, soprattutto dell’Italia, è quella di sostenere il dialogo nazionale libico e la riconciliazione del Paese. Anche i libici hanno tentato con le elezioni dell’ultimo parlamento di avviare questo dialogo, ma nella realtà è stato un fallimento totale. A questo punto, non possiamo escludere che possano avere luogo nel Paese ulteriori interventi da parte della comunità internazionale, magari non come quelli del 2011. Se la situazione dovesse aggravarsi ancora di più, mettendo a rischio interessi non soltanto per i Paesi occidentali, e rischiando anche di generare una crisi umanitaria, una crisi energetica, una crisi dei flussi migratori e se a questo aggiungiamo anche la minaccia del terrorismo e la volontà da parte dell’Isis - l’organizzazione dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria - di fondare una sua “branch” - diciamo così - proprio in Libia, capiamo bene che questa situazione richiederebbe nel modo più assoluto se non un intervento, quanto meno un coordinamento tra le autorità libiche, che sono molto deboli, e la comunità occidentale.








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