2014-08-20 20:15:00

Obama su Foley: sarà giustizia. Il Papa, prego per le minoranze religiose


Il mondo è inorridito dall’uccisione di James Foley. Un giornalista, un fratello, un figlio e un amico. Così’ Barack Obama oggi pomeriggio in un intervento pubblico per parlare del video diffuso dallo Stato islamico in cui si mostra la decapitazione del reporter, e ritenuto autentico dall’intelligence Usa. L’Is, che il presidente definisce “cancro”, non parla di religione, le vittime, aggiunge poi, sono in massima parte musulmani e nessun Dio può capire quel che è stato fatto. Gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per difendere il proprio popolo e per fare giustizia, assicura quindi Obama che aggiunge: “lo Stato islamico non ha un posto nel XXI secolo, la loro ideologia è un fallimento”.

Non è mancato anche oggi, al termine dell'udienza generale l’accorato appello di Papa Francesco:

"Vi invito ad unirvi alla preghiera di tutta la Chiesa per quelle comunità dell’Asia che ho appena visitato, come anche per tutti i cristiani perseguitati nel mondo, particolarmente in Iraq, anche per quelle minoranze religiose non cristiane ma che anche loro sono perseguitate".

L’omicidio di Foley viene considerato il primo vero attacco terroristico del califfato contro gli Stati Uniti, come conseguenza dei raid americani sull’Iraq che hanno costretto i miliziani alla ritirata da molte zone. Bombardamenti che per il momento la Casa Bianca non intende sospendere. Nel video, in cui il terrorista parla con inequivocabile accento britannico, il presidente Obama viene apertamente sfidato con la minaccia di uccidere un altro giornalista tenuto in ostaggio, Steven Joel Sotloff. Sulla minaccia aperta e la sfida che lo Stato Islamico ha voluto lanciare all'America Cecilia Seppia ha sentito Dennis Redmont,  responsabile della comunicazione del Comitato Italia-Usa.

R. – Questa sfida con il mondo islamico è sempre esistita: non possiamo dimenticare gli eventi di New York del 2011 e del World Trade Center. Non possiamo dimenticare neanche la guerra contro i giornalisti, che sia in Pakistan o in altri Paesi: sono morti 70 giornalisti, in Siria, dall’inizio delle ostilità. Allo stesso modo, in questa guerra asimmetrica si utilizza la stampa che fa da cassa di risonanza per poter colpire l’opinione pubblica. Nel caso di Foley, era un giornalista molto esperto e dunque uno collegato con molti centri. Il gruppo Isis ha pensato che sarebbe stato spettacolare eseguire la sentenza mentre lui indossava una divisa che ricorda quelle dei prigionieri di Guantanamo.

D. – Nel video, si vede anche il volto di un altro giornalista americano e un miliziano che dice: “La vita di questo cittadino, Obama, dipende dalle tue prossime decisioni”. Di che decisioni parliamo? Cioè, cosa sta chiedendo lo Stato islamico a Washington, all’America?

R. – L’America adesso si prepara, forse, a ricalibrare tutta la sua politica in Medio Oriente, perché si rende conto che deve considerare la Regione come un tutt’uno e non come singoli Paesi. Peraltro, molti credono che nove-dieci Paesi del Medio Oriente sono forse destinati a disintegrarsi e a diventare piccoli principati o ducati nella guerra di uno contro l’altro, a seconda della religione. Nel caso dell’Isis, che è un gruppo sunnita estremista e terrorista, non corre buon sangue con gli sciiti e nemmeno con la Turchia e per questo la reazione dell’America certamente sarà una reazione ferma, continuando a difendere le minoranze che si trovano sotto attacco e soprattutto i locali strategici investimenti americani, che sia il petrolio o che siano anche basi americane avanzate che monitorano la situazione.

D. – Ci sono state tante vittime di questa guerra, tanti giornalisti, ultimamente anche un reporter italiano. Foley era un cattolico, ex alunno dei Gesuiti, e la mamma ha detto: “Ha sacrificato la sua vita cercando di mostrare al mondo al sofferenza del popolo siriano”, perché – ricordiamolo – lui era stato rapito in Siria nel 2012. La madre di Foley ha implorato anche i sequestratori di risparmiare la vita degli altri ostaggi: quindi, a questo punto, è necessaria una riflessione sulle tante vittime,in particolare i giornalisti, che sono in primo piano in questa guerra...

R. – Il problema della stampa è che sempre di più questi giornalisti diventano giornalisti "free lance", cioè che non sono dipendenti da agenzie o da testate, perché sarebbe troppo difficile, troppo pericoloso, troppo costoso assumerli in prima persona. Non hanno assicurazioni. Perciò, alcuni – come Foley – sono preparati, ma altri sono meno preparati. E poi, la prima domanda di qualsiasi guerriglia o terrorista, è: “Di che religione sei?”. In Europa, è un aspetto che noi non contempliamo, ma è molto importante, e questo perché la religione musulmana ritiene che quello sia l’aspetto principale. Perciò, una coincidenza veramente orribile.

 

 








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