2014-08-20 13:48:00

Iraq: Francesco prega per le minoranze religiose perseguitate


“Vi invito ad unirvi alla preghiera di tutta la Chiesa per quelle comunità dell’Asia che ho appena visitato, come anche per tutti i cristiani perseguitati nel mondo, particolarmente in Iraq, anche per quelle minoranze religiose non cristiane”: con queste parole, al termine dell'udienza generale, il Papa è tornato sulla guerra in Iraq e sul dolore della popolazione, cui oggi si aggiunge l’orrore per la decapitazione di un giornalista americano. Sul terreno proseguono i raid, mentre la Germania è decisa a fornire armi ai curdi. Il servizio di Cecilia Seppia:

James Foley, 40 anni, "free lance" di Boston, è l’ennesima vittima dei jihadisti dello Stato Islamico, che dopo avergli messo addosso una divisa arancione, tipica dei prigionieri di Guantanamo e fattolo inginocchiare, lo hanno decapitato, riprendendo con una telecamera il gesto atroce e disumano che ha fatto subito in rete il giro del mondo. Il video dell’esecuzione si intitola "Messaggio all’America" e vuole essere una risposta al presidente Usa, Barack Obama, per i raid aerei degli ultimi giorni che hanno costretto i miliziani alla ritirata soprattutto da Mosul. Era un giornalista, Foley, ma era anche un cristiano, aveva studiato alla "Marquette University" dei Gesuiti e con loro era sempre rimasto in contatto: li informava dei suoi spostamenti in zone di guerra, delle missioni umanitarie a cui prendeva parte, ma soprattutto chiedeva preghiera. Quella preghiera, il Rosario in particolare, che come lui stesso scrive in una lettera, riportata oggi sul giornale dell’Ateneo, lo aveva salvato nei mesi di prigionia prima a Tripoli in Libia, poi in Siria dove era stato rapito dal 2012. Quattro minuti e 40 minuti di orrore in cui si vede anche un collega di Foley, Steven Joel Sotloff, strattonato da un miliziano dell'Isis che minaccia Obama, di prendere le giuste decisioni pena la morte imminente del reporter. L’intelligence Usa sta per ora verificando, ma le immagini non lascerebbero dubbi riaprendo lo scontro frontale tra Stati Uniti e terrorismo islamico. La madre di Foley su Facebook ha pubblicato un messaggio in cui dice di essere orgogliosa del figlio e del coraggio che ha dimostrato sacrificando la sua vita per mostrare al mondo la sofferenza di quei popoli, poi implora i sequestratori di risparmiare la vita degli altri ostaggi. La diplomazia internazionale intanto lavora per capire come intervenire: Berlino, pensa di armare i curdi, Parigi ha messo in agenda a settembre una Conferenza internazionale sull'Iraq per fronteggiare la minaccia jihadista. Da Baghdad, il premier italiano Matteo Renzi invoca la risposta dell’Europa e chiede una strategia chiara per uscire dalla situazione di violenza. L’Onu dal canto suo ha avviato una grande operazione di soccorso a mezzo milione di profughi in fuga. Non è mancato anche oggi, al termine dell'udienza generale l’accorato appello di Papa Francesco:

"Vi invito ad unirvi alla preghiera di tutta la Chiesa per quelle comunità dell’Asia che ho appena visitato, come anche per tutti i cristiani perseguitati nel mondo, particolarmente in Iraq, anche per quelle minoranze religiose non cristiane ma che anche loro sono perseguitate".

Sulla minaccia aperta e la sfida che lo  Stato Islamico ha voluto lanciare all'America, Cecilia Seppia ha chiesto un commento a Dennis Redmontgiornalista responsabile della comunicazione del Comitato Italia-Usa:

R. – Questa sfida con il mondo islamico è sempre esistita: non possiamo dimenticare gli eventi di New York del 2011 e del World Trade Center. Non possiamo dimenticare neanche la guerra contro i giornalisti, che sia in Pakistan o in altri Paesi: sono morti 70 giornalisti, in Siria, dall’inizio delle ostilità. Allo stesso modo, in questa guerra asimmetrica si utilizza la stampa che fa da cassa di risonanza per poter colpire l’opinione pubblica. Nel caso di Foley, era un giornalista molto esperto e dunque uno collegato con molti centri. Il gruppo Isis ha pensato che sarebbe stato spettacolare eseguire la sentenza mentre lui indossava una divisa che ricorda quelle dei prigionieri di Guantanamo.

 D. – Nel video, si vede anche il volto di un altro giornalista americano e un miliziano che dice: “La vita di questo cittadino, Obama, dipende dalle tue prossime decisioni”. Di che decisioni parliamo? Cioè, cosa sta chiedendo lo Stato islamico a Washington, all’America?

 R. – L’America adesso si prepara, forse, a ricalibrare tutta la sua politica in Medio Oriente, perché si rende conto che deve considerare la Regione come un tutt’uno e non come singoli Paesi. Peraltro, molti credono che nove-dieci Paesi del Medio Oriente sono forse destinati a disintegrarsi e a diventare piccoli principati o ducati nella guerra di uno contro l’altro, a seconda della religione. Nel caso dell’Isis, che è un gruppo sunnita estremista e terrorista, non corre buon sangue con gli sciiti e nemmeno con la Turchia e per questo la reazione dell’America certamente sarà una reazione ferma, continuando a difendere le minoranze che si trovano sotto attacco e soprattutto i locali strategici investimenti americani, che sia il petrolio o che siano anche basi americane avanzate che monitorano la situazione.

 D. – Ci sono state tante vittime di questa guerra, tanti giornalisti, ultimamente anche un reporter italiano. Foley era un cattolico, ex alunno dei Gesuiti, e la mamma ha detto: “Ha sacrificato la sua vita cercando di mostrare al mondo al sofferenza del popolo siriano”, perché – ricordiamolo – lui era stato rapito in Siria nel 2012. La madre di Foley ha implorato anche i sequestratori di risparmiare la vita degli altri ostaggi: quindi, a questo punto, è necessaria una riflessione sulle tante vittime,in particolare i giornalisti, che sono in primo piano in questa guerra...

 R. – Il problema della stampa è che sempre di più questi giornalisti diventano giornalisti "free lance", cioè che non sono dipendenti da agenzie o da testate, perché sarebbe troppo difficile, troppo pericoloso, troppo costoso assumerli in prima persona. Non hanno assicurazioni. Perciò, alcuni – come Foley – sono preparati, ma altri sono meno preparati. E poi, la prima domanda di qualsiasi guerriglia o terrorista, è: “Di che religione sei?”. In Europa, è un aspetto che noi non contempliamo, ma è molto importante, e questo perché la religione musulmana ritiene che quello sia l’aspetto principale. Perciò, una coincidenza veramente orribile.








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