2014-08-20 11:45:00

Mons. Tomasi: morte immigrati è tragedia europea, vincere indifferenza


Prosegue il confronto tra Unione Europea e Italia sulla questione dell’immigrazione. La Commissione europea, rispondendo al ministro dell’Interno Alfano, ha sottolineato che non sono possibili nuovi aiuti al governo italiano per affrontare gli sbarchi. Intanto, il numero degli immigrati che perdono la vita nel Mediterraneo continua ad aumentare. Gabriele Beltrami ha intervistato a questo proposito mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra:

R. - La luce rossa d’allarme del disfunzionamento nelle relazioni tra Paesi è anzitutto data dal numero delle vittime, gli emigrati che si trovano sepolti nel cimitero silenzioso che è diventato il Mediterraneo. Le stime che riportano come dal 2000 al 2013 circa 23,000 immigrati siano morti nel tentativo di raggiungere i punti di entrata in Europa: Grecia, Lampedusa, Canarie, Spagna, non possono lasciarci insensibili. La globalizzazione dell’indifferenza deve essere vinta davanti a questa tragedia europea. E non conosciamo le vittime anonime non contate dagli organismi di controllo e monitoraggio delle frontiere.  C’è il rischio di assuefarsi alle notizie di questi barconi che trascinano sottacqua individui e famiglie con bambini che avevano investito tutto per cercare una vita decente.  Mi pare che anzitutto si debba chiamare con il nome giusto queste persone che fuggono dalla violenza, dall’oppressione e da situazioni che mettono la loro vita in pericolo. Gran parte di loro sono rifugiati che hanno diritto di asilo, ad un’accoglienza che deve essere coordinata con l’Unione Europea. La solidarietà non può essere solo una teoria. Davanti poi all’evidenza della necessità di mano d’opera e di rafforzamento demografico che i paesi europei hanno per mantenere un’economia efficace e influenza politica, fare degli emigrati il capro espiatorio di frustrazioni sociali e strumentalizzarli per obiettivi elettorali diventa una strategia, un meccanismo poco onesto che favorisce la paura dell’altro e il pregiudizio. Il risultato è la riduzione dell’immigrato a persona di seconda classe. Ci si focalizza sulla funzione economica dell’immigrato senza dare priorità al fatto che è una persona con un volto, un sorriso, delle aspirazioni come ogni altro essere umano. La lettura sbagliata del fenomeno migrazioni porta a delle politiche amministrative che forzano le persone in cerca di rifugio a percorrere strade pericolose per raggiungere sopravvivenza e un minimo di benessere.

D. - Quali risposte la comunità internazionale deve mettere in atto al più presto?

R. - Il primo passo è l’applicazione coerente delle regole già concordate, il rispetto degli strumenti di protezione in vigore, per esempio, le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e, anche per i paesi ricchi, l’accettazione della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie approvata dalle Nazioni Unite nel 1990 ed entrata in vigore alcuni anni più tardi. Provvedere canali legali per l’arrivo di rifugiati e migranti indispensabili per l’economia dei paesi sviluppati e l’applicazione dei diritti umani sono misure che possono migliorare subito la governance delle migrazioni. Mi pare un passo nella direzione giusta la decisione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati di affrontare il prossimo dicembre nel suo “Dialogo internazionale” la questione della protezione in mare. Il Mediterraneo però non è il solo luogo di tragedie di immigrazione. Il fenomeno è globale e tocca i ‘boat people’ che tentano di entrare in Australia, i latinoamericani che attraversano il deserto dell’Arizona, gli haitiani che si imbarcano verso la Florida. La risposta ai tentativi disperati di tante persone forzate a lasciare la loro terra non è un’ulteriore rafforzamento dei controlli o addirittura la militarizzazione dei confini, politiche che spingono i migranti a muoversi su cammini più pericolosi o ad affidarsi a mercanti di carne umana. Occorre invece attuare il Common European Asylum System, sostenere i Paesi sotto pressione per nuovi arrivi, formare funzionari sensibili alle motivazioni dei richiedenti asilo, punire seriamente i trafficanti di persone e simili misure. Già Leone XII scriveva nella sua Enciclica “Rerum Novarum” che nessuno lascerebbe la propria patria se potesse vivere lì dignitosamente. Permettere che di fatto possano realizzarsi l’accesso ai mercati, la creazione di posti lavoro, la stabilità politica, per i paesi da cui ora partono gli emigrati, rimane l’opzione migliore perché fa dell’emigrazione una libera scelta e non una costrizione per sopravvivere. 

D. - Cosa manca ancora per una gestione efficace del complesso sistema migratorio nel Mediterraneo?

R. - Le due sponde del Mediterraneo sono segnate da differenze demografiche, politiche e religiose notevoli. L’insicurezza causata dai cambiamenti politici e il numero di giovani che sono pronti ad entrare nel mercato del lavoro sosteranno di certo la continuità dei flussi migratori. Anche se il continente più ricco del mondo, l’Europa non potrà accogliere tutti. Dovrà andare alla radice della questione. Dovrà prendere misure più ragionevoli che permettano ai migranti di venire in Europa legalmente e in maniera ordinata, come accennavo sopra, perché ne ha bisogno. Proiezioni demografiche mostrano che per il 2060 la popolazione attiva dell’Unione Europea si ridurrà di più del 10% o di 50 milioni di persone, mentre il numero dei pensionati aumenterà da 84,6 milioni a 151,5 milioni.  Poi la cooperazione con l’Africa del Nord dovrà intensificarsi per aiutarla a sviluppare democrazia e pluralismo, lo stato di diritto, la libertà religiosa, un’economia stabile. Accoglienza e sviluppo procedono di pari passo e questo equilibrio facilita una governance efficace delle migrazioni nella regione del Mediterraneo.








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