2014-08-21 20:01:00

Iraq. Gli Usa tentarono un blitz per liberare Foley ma senza successo. Sul terreno altri raid


Nuovi particolari sulla vicenda della brutale uccisione del giornalista americano James Foley. Secondo quanto riportato da alcuni media statunitensi, in un blitz le forze speciali Usa tentarono all'inizio di luglio di liberare Foley e altri ostaggi americani detenuti in Siria dagli jihadisti dello Stato Islamico, ma l'operazione non andò a buon fine perché gli ostaggi non erano nel luogo in cui il commando fece irruzione. Intanto in Iraq proseguono i raid degli Usa contro le postazioni dell’Is e in Europa cresce l’allarme terrorismo. Il servizio di Debora Donnini:

Gli Stati Uniti avevano tentato di liberare James Foley e altri americani che si trovavano con il reporter ucciso dallo Stato islamico. Gli ostaggi però, non erano presenti in quel luogo. Secondo quanto riportato poi da alcuni media americani che citano Philip Balbioni, amministratore delegato del Global Post per cui il reporter scriveva, gli jihadisti avrebbero chiesto agli Usa un riscatto  da 100 milioni di euro. Proseguono, intanto, le indagini per accertare l’identità del terrorista che ha decapitato Foley. Secondo il Guardian, che cita come fonte un ex ostaggio dell’Is in Siria, l’uomo che compare nel video con Foley sarebbe un inglese di Londra, che i prigionieri conoscono come “John”. Si tratterebbe del leader di una cellula di jihadisti britannici che agisce a Raqqa, in Siria. I tre militanti, nati nel Regno Unito, sarebbero stati soprannominati “I Beatles”. Sul terreno, intanto, altri attacchi aerei americani contro le postazioni dello Stato islamico nel nord dell’Iraq: uccisi 35 miliziani. Il Comando centrale militare Usa fa sapere che dall’8 agosto sono stati compiuto 90 raid. Si registra anche un’altra vittoria dell’esercito regolare, con la liberazione di alcuni villaggi cristiani nella piana di Ninive. 

 

Ed era stata durissima la reazione del presidente Usa, Barack Obama al video shock che mostra la decapitazione in Iraq del reporter Foley, per mano dei miliziani dello Stato islamico. Il capo della Casa Bianca ha parlato di “cancro da estirpare” e aggiunto: “Nessuna fede predica il massacro degli innocenti”.Quale dunque, alla luce delle dichiarazioni del presidente Obama, l’obiettivo che l’America si sta prefiggendo? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto affari internazionali:

 

R. - Per ora, l’obiettivo sembra quello di far rientrare questa minaccia dello Stato islamico, di questo pseudo-Califfato, soprattutto in Iraq. Però, sembra difficile farlo rientrare soltanto in Iraq senza estendere le operazioni, in qualche maniera, anche alla Siria. Diciamo che rimane il problema politico, nel senso che in Iraq il nuovo governo in formazione lascia sperare nella possibilità di una sorta di governo di unità nazionale, che quindi dia ancora una chance di salvezza all’unità dell’Iraq e allo sviluppo del Paese. Mentre in Siria c’è ancora l’ostacolo Assad, che rimane un intralcio politicamente molto difficile, in particolare per gli americani.

D. - I miliziani non si fermano davanti a niente: lo abbiamo visto nel video orrendo, nella brutalità con cui hanno assassinato James Foley. In realtà, Obama ha anche detto che i miliziani ambiscono a un genocidio. È plausibile una cosa del genere visto il loro modus operandi?

R. - Il termine "genocidio" è sempre un termine da usare con cautela. Però, certamente, massacri generali, spostamenti di popolazione, fanno pensare a quello che accadde dopo la Prima Guerra Mondiale con gli armeni in Turchia. Insomma, nella sostanza sono cose che vanno assolutamente bloccate, sono crimini contro l’umanità. Credo che il tentativo di Obama, sottolineando questo aspetto del genocidio, sia proprio questo, cioè dire: signori, attenzione! Ci sono le vostre lotte politiche: voi volete Assad, voi non volete Assad, l’Iran vuole estendere la sua influenza, l’Arabia Saudita non vuole… Va tutto bene, però ci sono poi dei criminali che commettono delitti contro l’umanità e questi vanno fermati comunque e, possibilmente, con il concorso di tutte le parti.

D. - In questi giorni, sta crescendo l’allarme per un’escalation terroristica del conflitto iracheno che si allarga anche ai Paesi europei, all’Italia… Lo stesso assassino di Foley è un inglese di Londra. Esiste davvero, secondo lei, questo rischio, visto che lo Stato islamico sembra aver proseliti ovunque?

R. - Questa dell’internazionale terroristica che partecipa alle guerre non è una novità. L’avevamo vista addirittura, a suo tempo, in Cecenia, nelle guerre in Bosnia, nei Balcani, nell’ex Jugoslavia. Diciamo che si sta ampliando il numero delle persone coinvolte: è più vasto e include parecchi europei di seconda o terza generazione. Questo è, evidentemente, un aspetto pericoloso. Diciamo che non è una minaccia completamente nuova. E' una minaccia nota, però, l’aumento del numero delle persone coinvolte e fa sì che bisogna certamente prestarvi più attenzione.

D. - Secondo lei, serve armare i curdi per fermare i miliziani? Anche ieri, la Germania ha detto che questa è forse la soluzione più urgente...

R. - I curdi al momento sono le forze a terra che hanno maggiori capacità di combattimento, maggiore esperienza e che quindi vanno rafforzate se non vogliamo mandare un nostro esercito. Il problema è - naturalmente - evitare che poi i curdi diventino talmente forti da voler prendere un pezzo d’Iraq e staccarsi dal governo centrale.








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