2014-08-25 14:40:00

Caos politico in Libia. Vecchio Parlamento nomina premier


In  Libia è caos politico.  Il vecchio Congresso libico, riunito a Tripoli ha designato il filo-islamista Omar al-Hasi nuovo premier del "governo di salvezza nazionale". Si tratta di una vera e propria 'secessione' dal Parlamento eletto a giugno, che si riunisce a Tobruk.  Il premier ad interim Al Thasi parla di "decisione illegale". Intanto oggi la crisi libica è stata al centro di un incontro al Cairo tra i paesi confinanti con l’appello ad un cessate il fuoco immediato e la richiesta di  "soluzione politica" come "l'unico modo per fermare lo spargimento di sangue". “Imploro tutti di pregare per la Libia”, l’accorato appello di  mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, dove da questa mattina infuria la battaglia per il controllo dell’aeroporto. Roberta Gisotti ha intervistato Arturo Varvelli, esperto dell’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:

D. - Prof. Varvelli, anzitutto quali sono le forze in campo da riportare nell’ordine democratico, nella situazione di anarchia politica che regna in Libia nonostante il 25 giugno scorso sia stato eletto un nuovo Parlamento, insediatosi poi il 2 agosto a Tobruk nell’Est del Paese?  

R. – Bisogna distinguere le due regioni: la Cirenaica e la Tripolitania. In Cirenaica abbiamo delle forze legate allo jihadismo, ossia i gruppi vicini alle formazioni di Ansar al-Sharìa, contro le forze militari e paragovernative del generale rinnegato Haftar. Dall’altra parte, invece, in Tripolitania abbiamo essenzialmente lo schieramento che vede islamisti contro anti-islamisti: da una parte, tra gli anti-islamisti, abbiamo le milizie di Zintan che detenevano il controllo dell’aeroporto e l’hanno perso in favore delle forze islamiste, che sono coalizzate principalmente attorno alle milizie di Misurata. Quindi, una situazione molto complessa nella quale vediamo un Paese frammentato, diviso a macchia di leopardo per il controllo delle milizie, dal punto di vista territoriale, e una crescente polarizzazione tra forze islamiste e anti-islamiste.

D. – Che cosa si può fare in questa situazione, da parte dei Paesi occidentali, oltre che stare a guardare?

R. – Io penso che sia necessario più di ogni altra cosa un lavoro politico e diplomatico che includa gli attori internazionali e regionali. Gli attori regionali hanno avuto e stanno avendo un ruolo molto importante, in questa crisi: anzitutto l’Egitto, che l’anno scorso, con il rovesciamento di Mohamed Morsi, ha dato dei segnali molto contrastanti alla Libia e alle forze della Fratellanza musulmana libica. Ha detto loro, in sostanza, che per continuare ad essere attori politici credibili all’interno del nuovo panorama, devono essere armati, devono avere un potere di dissuasione. E, se non hanno questo, possono essere in qualche modo rovesciati. Questo è il messaggio che loro hanno percepito dalla crisi egiziana. E così è stato, perché c’è stata una sorta di alleanza con le milizie di Misurata. A questo punto, la cosa che può essere fatta non è certamente appoggiare una parte o l’altra, anche se la tentazione è quella di sostenere gli anti-islamisti in funzione di deterrenza e di controllo e di contenimento delle forze islamiche più radicali, soprattutto in Cirenaica, ma è quella di favorire una progressiva riconciliazione nazionale. Bisogna assolutamente cercare, costringere, anche, magari anche con forti pressioni diplomatiche e anche ipotizzando un intervento militare, seppur non conducendolo … ma bisogna avere la possibilità di dare un segnale forte di tutta la comunità internazionale insieme. La comunità deve parlare con una voce unica e deve parlare a tutta la comunità libica e a tutte le milizie e alle forze in campo. Solo a quel punto si potrà arrivare ad un cessate il fuoco e ad una discussione e ad un rilancio di una convivenza pacifica in Libia. Certamente è una strada tortuosa e molto difficile …

D. – Di fronte a queste situazioni così complicate sul territorio, ci vuole forse da parte della comunità internazionale una progettualità di respiro lungo, nel tempo …

R. – Certamente, l’ipotesi di stabilizzare la Libia in breve tempo, ormai è svanita. Il nuovo parlamento in qualche misura non è stato accolto come legittimo da tutte le forze, in particolare dalla Fratellanza musulmana e dalle forze di Misurata, perché hanno visto queste forze in netta minoranza. Quindi, bisogna assolutamente essere maggiormente inclusivi e recuperare le forze che non credono in questo processo di transizione. Ci vuole un dialogo nazionale e un nuovo patto sociale. Questo richiede tempi molto lunghi: l’Europa ha perso tantissimo tempo. Di fatto si è messa a lavorare seriamente sulla Libia solo nell’ultimo anno: ma è stato troppo tardi. L’Europa ha molte responsabilità e dovrebbe continuare ad avere molte responsabilità, sia per la situazione politica sia per la situazione militare, sia per la situazione umanitaria legata all’immigrazione.








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