2014-08-26 11:03:00

Iraq. Intersos: Erbil è crocevia dei profughi in fuga


L’Iraq continua a vivere in un perenne stato d’emergenza: a Baghdad è esplosa oggi un’autobomba che ha causato almeno 15 morti e una quarantina di feriti. Sempre stamattina, l’emittente televisiva “Al Sumaria” ha riferito che la diga di Mosul era stata conquistata nuovamente dallo Stato islamico: la notizia è, però, poi stata smentita da fonti militari irachene. Intanto, negli scontri per fermare l’avanzata dello Stato Islamico interviene anche Teheran. Il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Barzani, in una conferenza stampa congiunta con il ministro iraniano degli Esteri Zarif ha annunciato che l’Iran ha recentemente fornito armi ai curdi iracheni per combattere i jihadisti. Si teme che possano conquistare anche città sante per gli sciiti. Questi conflitti causano, però, un dramma umanitario molto grave. Oltre milione e mezzo di sfollati interni in Iraq necessita, infatti, di assistenza continua: fuggono, infatti, in qualsiasi modo, molti a piedi, con solamente i vestiti che indossano, lungo percorsi su terreni difficili, sotto il sole e con poca acqua. Per avere un quadro della situazione, Paolo Giacosa ha intervistato Marco Rotelli, segretario generale di Intersos, recentemente ritornato dal campo di Erbil:

R. – La situazione è ancora in totale divenire. Oggi, abbiamo oltre un milione e mezzo di sfollati interni - quindi di persone che sono scappate da queste aree sotto controllo dello Stato Islamico - che si aggiungono però alla casistica di rifugiati che arrivavano già lo scorso anno dalla Siria, e quindi siriani che si erano spostati in Iraq. La situazione ha messo in estrema difficoltà le organizzazioni non governative, le Nazioni Unite e il governo di Baghdad stesso – per questioni militari di difesa dei “nuovi confini” in questo momento – ma soprattutto le organizzazioni umanitarie per la gestione di questo enorme numero di persone: un milione e mezzo, vi assicuro, è un numero molto grande da gestire. È una situazione che vede le persone spostarsi dalle aree soprattutto di Ninive verso Erbil, Dohuk. C’è una situazione molto complicata anche a Kirkuk e un flusso che scende verso il sud. Persone che scappano dal contesto in cui sono vittime di violenze efferate, in un clima estremamente difficile da gestire: si vive sopra i 40° per molte ore al giorno, con disidratazione e anche malnutrizione per coloro che sono rimasti diversi giorni intrappolati in aree totalmente inaccessibili per le organizzazioni umanitarie.

D. – Perché Erbil è una città importante per i perseguitati in fuga?

R. – Erbil è una città molto importante perché geograficamente è uno dei primi grandi centri nei quali possono trovare rifugio. È sede di importanti stabilimenti anche militari, delle milizie del Kurdistan iracheno, gli ormai famosi peshmerga, che difendono – supportati, in questo momento, da una sorta di coalizione internazionale, oltre che irachena – i confini. Quindi, le persone che scappano dalle aree sotto controllo dello Stato Islamico lì trovano una situazione temporaneamente tranquilla, ovvero una situazione in cui non c’è ostilità nei loro confronti. Ovviamente, come accadrebbe in qualunque Paese del mondo, un flusso di persone così importante, che arriva da un’altra area – si va da un’area araba a un’area curda – può creare delle difficoltà. E' prevedibile che presto la fatica di assorbire nella propria società un milione e mezzo di persone che in questo momento ha bisogno di tutto, possa creare anche progressive tensioni interne. Quindi, le organizzazioni come Intersos e molte altre stanno in qualche maniera cercando di prevenire questo tipo di tensioni fornendo aiuti non tanto ai curdi, che in questo momento non ne hanno particolare bisogno, ma fornendo aiuti che in qualche modo siano integrati nella società curda.

D. – Quali sono le condizioni in cui gli sfollati sono costretti a fuggire?

R. – Fuggono in tutte le maniere che una persona possa immaginare. C’è chi è riuscito a muoversi per tempo e ha addirittura utilizzato la propria vettura: sono famiglie che erano relativamente benestanti. Altri sono riusciti a organizzare in maniera molto rapida e arrangiata piccoli pullman. Altri sono rimasti intrappolati nelle aree sotto controllo delle milizie e, in alcuni casi, sono pian piano riusciti a scappare, molto spesso a piedi. Immaginatevi lunghi percorsi fatti in un’area torrida, con bambini in braccio, con pochissima acqua potabile, con pressoché nessuna derrata alimentare e che quindi arrivano in condizioni psicofisiche particolarmente provate.

D. – Come accade spesso, sono i più deboli a pagare le conseguenze. Come state aiutando i bambini in difficoltà?

R. – I più deboli in questo caso sono i bambini e in parte le persone anziane. I bambini sono le persone più deboli ma quelle sulle quali si può lavorare di più. Quindi, la priorità è fornire loro “pillole” di normalità: attraverso riallestimenti di scuole di fortuna e centri per i bambini più piccoli, si offre la ripresa di attività che li vedano fare quello che un bambino, un ragazzo della loro età deve fare. Quindi, tende – che tra l’altro devono essere climatizzate, altrimenti diventerebbero veri e propri forni – e l’utilizzo, con uno slancio molto generoso da parte dei curdi, delle scuole pubbliche per fare gli esami che altrimenti avrebbero perso. Questo crea un enorme problema in termini di ripresa delle normali attività nell’area autonoma del Kurdistan, perché presto le scuole dovranno riaprire e il numero oggi di ragazzi e di persone che dovrebbero frequentarle è assolutamente superiore alle capacità. Molte di queste scuole sono, tra l’altro, occupate da famiglie.








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