2014-08-28 20:01:00

Etiopia: storia e fede, in mostra al Meeting di Rimini


Il Meeting di Rimini ospita una suggestiva mostra sull’Etiopia intitolata: “Dalle periferie della cristianità l’Etiopia alzerà le sue mani a Dio”. Un modo per conoscere più da vicino questo Paese ricco di storia e arte cristiana. Proposte al visitatore, le icone dai colori forti con la Vergine e il Bambino e di San Giorgio del 1.500 e del 1.600, le croci finemente lavorate, le immagini delle chiese monolitiche costruite nel tufo. La nostra inviata al Meeting, Debora Donnini, ha intervistato il curatore della mostra, Giuseppe Barbieri, docente di storia dell’arte moderna all’università Ca’ Foscari di Venezia:

R. – L’Etiopia è uno dei primi Stati cristiani della storia. La monetazione etiopica presenta già monete con il sigillo della Croce, un secolo prima della monetazione romana: attorno al 330-340 d.C. compaiono le prime monete etiopiche che portano il segno della Croce. E poi noi sappiamo che, nel giro di qualche secolo, l’Etiopia diventa una sorta di enclave, circondata da Stati e popolazioni musulmane, che la isolano, ma questo ha anche consentito di conservare una tradizione che, in qualche modo, risale direttamente alla Chiesa delle origini.

D. - Il cristianesimo arriva in Etiopia già nel IV secolo con Frumenzio, ma legato già al giudaismo c’era la tradizione, nell’immaginario, della Regina di Saba che incontra il Re Salomone…

R. – Noi sappiamo che dall’Etiopia è iniziata l’umanità, che il percorso che le primissime famiglie umane hanno fatto è stato attraversare il golfo di Aden, arrivare fino nel Medio Oriente e da lì spargersi un po’ a destra e un po’ a sinistra. I nostri progenitori assoluti vengono da lì. Il legame è quello, non si sono sparsi verso l’Africa occidentale o verso l’Africa meridionale. Sono andati verso il Medio Oriente. La Regina di Saba è certamente una figura con tutte le componenti del mito ma anche con tracce di una tradizione storica precisa che lega in qualche modo il Corno d’Africa al Medio Oriente.

D. – Nella mostra vengono esposte icone dove compare soprattutto la Vergine con il Bambino in braccio e San Giorgio e il Drago: perché questa predilezione?

R. – Allora, l’Etiopia viene chiamata da molti secoli a questa parte il feudo di Maria in Africa e quindi il legame con la Vergine è sempre stato costante e fa parte della radice della tradizione religiosa della Chiesa cristiana di Etiopia. La forma che questa Vergine, anche figurativamente, assume dalla seconda metà del XVI secolo in avanti è l’icona bizantina miracolosa, la “Salus populi romani” di Santa Maria Maggiore, che i Gesuiti importano in Etiopia e che diventa uno standard raffigurativo. La figura di San Giorgio è un altro perno della tradizione religiosa e artistica etiopica anche per un legame con la Vergine: al giorno in cui viene ricordata l’Annunciazione corrisponderebbe la traslazione del corpo di San Giorgio che dall’Armenia viene sepolto accanto a Gerusalemme e corrisponde a questo impegno che Gesù Cristo prende con Giorgio, per cui chi si rivolgerà a Lui troverà ascolto presso il Cristo. Quindi questo determina la grande figura dell’intercessore: San Giorgio come intercessore del quasi 99 per cento delle preghiere etiopiche e di conseguenza una percentuale altrettanto grande di raffigurazione in rapporto con la Vergine, proprio perché nella tradizione religiosa etiopica c’è la percezione di questo legame, non solo tra Giorgio e il Cristo, ma anche tra Giorgio e la Vergine.








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