2014-08-30 12:27:00

La Diocesi di Milano ricorda il Beato Schuster a 60 anni dalla morte


60 anni fa, il 30 settembre 1954, si spegneva il Beato Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano. Alla vigilia dell'anniversario, la Chiesa ambrosiana lo ha ricordato con una Messa presieduta nel Duomo dal vicario generale, mons. Mario Delpini, a cui è seguita la proiezione del filmato intitolato “Card. Schuster: pastore della Chiesa Ambrosiana”. Questa domenica, inoltre, il Beato sarà ancora ricordato dal cardinale arcivescovo Angelo Scola durante la Messa per il secondo anniversario dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini. Paolo Giacosa ha intervistato mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, per tratteggiare un ricordo del Beato:

R. - Schuster ha segnato in modo molto forte la Diocesi di Milano, in modo anche molto simbolico: è morto nel suo seminario di Venegono, seminario che lui aveva voluto prima come visitatore apostolico, poi come arcivescovo e, non a caso, anche lì ci sarà una celebrazione quando sarà partito l’anno seminaristico, il 4 ottobre. Schuster è rimasto un grande pastore che ha segnato molto la vita della gente anche per l’attenzione che ha avuto di girare molto per la diocesi, amministrando il sacramento della Confermazione: mi è capitato, quando ero giovane, di sentire molti anziani che raccontavano con commozione il fatto di aver ricevuto la Cresima proprio dal loro arcivescovo, il Beato cardinal Schuster.

D. - Qual è l’eredità del cardinal Schuster per i credenti di oggi?

R. - Potremmo dire che le eredità che ci lascia sono di tre tipi. La prima, innanzitutto, è questa forte sottolineatura del primato di Dio nella nostra vita, che lui esprimeva attraverso la cura attenta e la priorità data alla celebrazione liturgica: tutti si ricordano il cardinal Schuster in ginocchio, in preghiera, tutto concentrato nel celebrare e nel dire le orazioni. Il cardinale questo l’ha spiegato ai preti sottolineando il fatto che in un momento di forte trasformazione - come quello che hanno vissuto: la guerra, poi anche il primo boom economico - il cambiamento culturale aveva bisogno di un radicamento in Dio, perché la gente non perdesse questo legame con Dio. Il secondo elemento è l’attenzione ai poveri, l’attenzione ai semplici e ai deboli: è sempre stato molto attento nelle visite pastorali a chiedere cosa si facesse, a vedere che la Chiesa fosse attenta. Il terzo era la volontà di far dialogare tutti: durante il Fascismo - e anche subito dopo - ha voluto sottolineare questo richiamo ad una sorta di grande riconciliazione universale di cui abbiamo bisogno; anche in questi giorni è di forte attualità.

D. - Il Beato fu profondamente legato al suo popolo, lo ha incontrato spesso nelle visite pastorali, non lo ha mai abbandonato nemmeno durante i bombardamenti…

R. - Quello che tutti ricordano del cardinal Schuster è proprio questo attaccamento alla gente. È rimasto con la sua Milano anche durante la guerra, durante i bombardamenti e in lui la gente ha rivisto, per tanti versi, un novello San Carlo che, a differenza degli spagnoli - che fuggirono per la peste -, rimase invece in mezzo alla sua gente; e tutti se lo ricordano proprio perché è stato da loro, non sono stati loro ad andare da lui. I preti, in particolare, l’hanno sentito vicino perché lui ha reintrodotto l’idea di San Carlo dei Sinodi minori, ovvero un Sinodo all’anno in cui convocava tutto il suo clero a riflettere su un tema. A lui dobbiamo anche una rivisitazione del nostro rito del Messale, proprio con l’attenzione ad una celebrazione che aiutasse la gente a pregare.

D. - Il cardinale pronunciò una famosa omelia contro il razzismo. Quanto è importante ricordare ancora oggi valori come la fraternità e la solidarietà tra i popoli?

R. - La cosa che stupì e che stupisce ancora oggi del Beato cardinal Schuster è che alla fragilità della persona - perché era un uomo minuto - si accompagnava, invece una forza dei contenuti incredibile, come questa omelia che viene ricordata. Non ebbe paura di sfidare il pensiero dominante, lui diceva che il Vangelo doveva rompere i luoghi comuni e far vedere che è possibile amare. E lui lo faceva.








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