2014-08-30 17:45:00

Campiglio, per la crescita aumentare produttività e non ridurre i salari


Massima fiducia in Renzi. A garantire l’appoggio al premier italiano è l’Ad di Fiat Sergio Marchionne che, parlando dal meeting di Rimini, incoraggia il capo del governo ad andare avanti e a confermare la sua agenda di riforme.  Renzi, dice, è determinato e coraggioso nel voler demolire le forze di resistenza al cambiamento e alle riforme. Ieri sera, al termine del Consiglio dei ministri, e nella giornata in cui l’Istat aveva certificato la deflazione per l’Italia, il premier aveva illustrato lo Sblocca-Italia che prevede tra l’altro lo stanziamento di 10 miliardi nei prossimi 12 mesi per avviare opere, più altri miliardi per investimenti aeroportuali e opere cantierabili da subito. Renzi aveva tra l’altro sconfessato la riduzione dei salari dei lavoratori come possibile ricetta per uscire dalla crisi, e su questa posizione si allinea l’economista Luigi Campiglio, docente di Economia Politica alla Cattolica di Milano, al microfono di Francesca Sabatinelli

R. – Questa è una presa di coscienza economica estremamente importante, perché in questi anni la riduzione dei salari reali è stata elevata, ci ha riportato indietro di 10-15 anni, ed è stata la causa primaria e fondamentale della crisi del Paese, della crisi della domanda interna. Aggiungo sottolineando la scarsa efficacia del provvedimento degli 80 euro, che probabilmente sarebbe stata un po’ più rilevante, e avrebbe avuto un maggiore impatto, se fosse stata invece conseguenza e risultato di un aumento dei salari, a sua volta legato ad un aumento della produttività. Non è che diminuendo i salari, aumenta la competitività.

D. – Renzi ha preso una posizione che è invisa a una parte del mondo economico, alla parte del Paese che dice che la non-diminuzione dei salari non è una risorsa e non è una ricetta …

R. – Se lei guarda i salari orari, ad esempio, dell’industria manifatturiera in Italia soprattutto rispetto a quelli della Germania, si rende conto che i nostri salari orari sono nettamente più bassi che in Germania. Ma questo non mette la Germania fuori dalla competitività, anzi: quello che conta non è il salario in sé, ma è il salario diviso la produttività, che va sotto il nome del “costo del lavoro per unità di prodotto”. Questo è quello che conta. Quindi, a diminuire i salari lasciando la produttività bassa, si peggiora la situazione del Paese. Ma la produttività, a sua volta, dipende dagli investimenti e gli investimenti le imprese li fanno solamente se ci sono buone prospettive di mercato, di domanda interna, in particolare, oltre che di esportazione. Ma la domanda interna è nella situazione che abbiamo detto prima, quindi davvero è un cane che si morde la coda. Quindi, il convitato di pietra di questo ragionamento è l’aumento della produttività. L’Italia è un Paese in cui la produttività da 10-15 anni non aumenta, perché non si sono gli investimenti che incorporano le innovazioni, la capacità di produrre sempre di più ma, vorrei dire, a maggior ragione sempre meglio.

D. – Sono stati fatti annunci su cifre importanti che verranno impiegate, da qui a un anno. Ma questi soldi, da dove arrivano?

R. – Questi soldi vengono da una direzione, ed è una direzione che negli Stati Uniti veniva chiamata “affamare la bestia”. Significa: riduco la spesa, quindi se riduco la spesa mi posso permettere di ridurre le entrate e quindi ridurre le tasse. Si è dimostrato, anche nell’esperienza americana, che questa non è una strada così semplice. Questa, però, è la strada che si continua a percorrere. Ora, in Italia il volume di spesa pubblica se rapportata al Pil è elevata, perché la crescita del prodotto del Paese è in una condizione di estrema difficoltà. In valore assoluto non è vero che la spesa pubblica è così esplosa, è vero che è piena di sprechi, questo, sì! La riduzione della spesa va fatta ma con queste qualificazioni, cioè: togliamo dove si fanno davvero gli sprechi, e ce ne sono tanti!, e lo mettiamo dove c’è davvero bisogno, e ce n’è tanto! Detto questo, quello che bisogna stimolare sono gli investimenti privati e questo, dato il contesto in cui ci muoviamo, lo si può avere con una politica intelligente da parte dell’Europa. Vorrei ricordare che essendo l’Italia un Paese grande, questo significa che o l’Europa si preoccupa dell’Italia, oppure l’Italia porta a fondo l’Europa. Quindi, è fondamentale che l’Italia esca da questa situazione. Ma ormai siamo entrati in deflazione, abbiamo bisogno di interventi davvero rapidi e la rapidità, in questo caso, significa investimenti pubblici. Fare investimenti con un’ottica che non è quella dell’anno, ma è un’ottica di tre-quattro anni, perché in tre-quattro anni gli investimenti si ripagano. Se questa diventa la logica, usciamo dalla crisi, ma se non lo diventa temo che rimarremo sempre un po’ in bilico. Quindi, ribadisco: l’investimento pubblico, prima, e a seguire privato è la chiave per uscire dalla crisi e aumentare l’occupazione.








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