2014-09-02 15:23:00

Somalia: raid Usa su Al Shebaab. L'Onu lancia l'allarme carestia


Il raid della notte scorsa condotto da droni Usa sulla Somalia mirava a colpire i vertici dell’organizzazione islamica fondamentalista Al Shebaab, affiliata ad Al Qaida, riuniti nella città meridionale di Barawe. Tra gli obiettivi dei missili americani, soprattutto il capo Ahmed Abdi “Godane”, ritenuto essere la mente dietro l’attentato di Nairobi nel 2013 e del quale non si conosce la sorte. Nel frattempo, le Nazioni Unite continuano a lanciare un allarme finora rimasto inascoltato dalla comunità internazionale: la Somalia sta drasticamente scivolando verso la carestia, e un 1.025.000 persone versano in stato di “crisi” o di “emergenza”, con fame e siccità destinate a peggiorare. Francesca Sabatinelli ha intervistato Shukri Said, giornalista somala, portavoce dell’Associazione Migrare:

R. – Il gruppo di Al Shebaab militarmente è stato indebolito. Per il momento, nelle sue mani sono rimaste ancora delle postazioni importanti. Ad esempio, la città di Barawe che è una delle città costiere che fanno da anello di congiunzione tra la capitale Mogadiscio e Kisimayo. Quindi, la città Barawe è una città portuale, strategia, ricca e molto importante. Gli Shebaab sono molto forti in quell’area. Quindi, conquistare Barawe permetterebbe fondamentalmente due cose: prendere la città più potente, che in questo momento è nelle mani di Al Shebaab, e permettere alle autorità federali e alla comunità internazionale di ricollegare di nuovo Mogadiscio a Kisimayo, un’area vastissima ed economicamente fertile.

D. – Questo drammatico conflitto si intreccia con una gravissima situazione umanitaria che ha portato oltre un milione di persone a versare in una situazione di crisi o di emergenza, quindi proprio ad un passo dalla carestia. E queste sono le cifre dell’Onu...

R. – Infatti, la stessa Onu non viene ascoltata. Il rappresentate dell’Onu per la Somalia ha lanciato questo appello all’inizio dell’estate e, in modo tardivo, anche le autorità somale a loro volta lo hanno fatto. Però, bisogna lavorare! Adesso tutto è stato avviato in Somalia: c’è la volontà delle persone, dei somali, che hanno deciso di andare avanti per recuperare i venti anni spezzati di questa nazione. La comunità internazionale deve aiutare, ma non dando denaro liquido senza criterio, ma per pagare i militari, gli insegnati, per consentire di poter vendere sul mercato tutti quei prodotti di cui la Somalia è ricca. Se non si fa così, anche se dovessimo riuscire a mandare via gli Shebaab, resterebbero le bande armate perché in Somalia non ci sono solo gli Shebaab. Nella maggior parte del territorio, ci sono queste bande di criminali – residuo dei "signori della guerra" che tutti noi conoscevamo – e che una volta morti hanno passato la loro eredità ai loro “figliastri” che comandano, che sono molto organizzati e che hanno armi. Il Paese ha bisogno di un disarmo, di una giustizia vera. Io invito la comunità internazionale a portare un tribunale internazionale in Somalia, perché la giustizia somala non funziona: è una giustizia ingiusta, dura con i deboli e debole con i forti.








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