2014-09-03 08:43:00

Somalia: raid aerei americani contro gli al Shabab


In Somalia si continua a combattere contro le milizie al Shabab. Il Pentagono ha confermato i raid aerei da parte degli Stati Uniti nel Paese. La missione avrebbe distrutto diversi veicoli dei terroristi. Il servizio di Giulio Albanese:

Dunque l’attacco aereo statunitense c’è stato, nel sud della Somalia contro la leadership degli al Shabaab, il gruppo jihadista legato ad al Qaida. Il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha infatti confermato il raid contro il gruppo estremista islamico che da anni semina morte e distruzione. Il risultato dell’operazione, condotta con alcuni droni, non è  stato ancora accertato, ha affermato Washington, ma secondo fonti a Mogadiscio almeno sei alti esponenti jihadisti sarebbero stati uccisi, e forse anche il loro leader supremo, Mukhtar Abu Zubeyr, meglio noto col nome di battaglia di ’Abdi Godane’. Se così fosse, si tratterebbe di un risultato importante nella lotta contro questi fautori della Sharìa. Un portavoce degli al Shabaab, di nome Abu Mohammed, ha fatto sapere  che nel raid sono morti sei militanti, colpiti su due auto diverse, ma non ha precisato se tra di loro ci fosse anche Godane, sulla cui testa gli Usa hanno messo una taglia da sette milioni di dollari. 

 Nel frattempo, le Nazioni Unite continuano a lanciare un allarme finora rimasto inascoltato dalla comunità internazionale: la Somalia sta drasticamente scivolando verso la carestia, e un 1.025.000 persone versano in stato di “crisi” o di “emergenza”, con fame e siccità destinate a peggiorare. Francesca Sabatinelli ha intervistato Shukri Said, giornalista somala, portavoce dell’Associazione Migrare:

R. – Il gruppo di Al Shebaab militarmente è stato indebolito. Per il momento, nelle sue mani sono rimaste ancora delle postazioni importanti. Ad esempio, la città di Barawe che è una delle città costiere che fanno da anello di congiunzione tra la capitale Mogadiscio e Kisimayo. Quindi, la città Barawe è una città portuale, strategia, ricca e molto importante. Gli Shebaab sono molto forti in quell’area. Quindi, conquistare Barawe permetterebbe fondamentalmente due cose: prendere la città più potente, che in questo momento è nelle mani di Al Shebaab, e permettere alle autorità federali e alla comunità internazionale di ricollegare di nuovo Mogadiscio a Kisimayo, un’area vastissima ed economicamente fertile.

D. – Questo drammatico conflitto si intreccia con una gravissima situazione umanitaria che ha portato oltre un milione di persone a versare in una situazione di crisi o di emergenza, quindi proprio ad un passo dalla carestia. E queste sono le cifre dell’Onu...

R. – Infatti, la stessa Onu non viene ascoltata. Il rappresentate dell’Onu per la Somalia ha lanciato questo appello all’inizio dell’estate e, in modo tardivo, anche le autorità somale a loro volta lo hanno fatto. Però, bisogna lavorare! Adesso tutto è stato avviato in Somalia: c’è la volontà delle persone, dei somali, che hanno deciso di andare avanti per recuperare i venti anni spezzati di questa nazione. La comunità internazionale deve aiutare, ma non dando denaro liquido senza criterio, ma per pagare i militari, gli insegnati, per consentire di poter vendere sul mercato tutti quei prodotti di cui la Somalia è ricca. Se non si fa così, anche se dovessimo riuscire a mandare via gli Shebaab, resterebbero le bande armate perché in Somalia non ci sono solo gli Shebaab. Nella maggior parte del territorio, ci sono queste bande di criminali – residuo dei "signori della guerra" che tutti noi conoscevamo – e che una volta morti hanno passato la loro eredità ai loro “figliastri” che comandano, che sono molto organizzati e che hanno armi. Il Paese ha bisogno di un disarmo, di una giustizia vera. Io invito la comunità internazionale a portare un tribunale internazionale in Somalia, perché la giustizia somala non funziona: è una giustizia ingiusta, dura con i deboli e debole con i forti.








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