2014-09-06 13:22:00

Israele: fine embargo con disarmo a Gaza, ma Hamas dice no


Nuove tensioni in Medio Oriente. Il movimento palestinese Hamas ha respinto la richiesta di Israele di smilitarizzare la Striscia di Gaza come condizione per mettere fine all’embargo e per costruire un porto e un aeroporto. Intanto, Israele ha annunciato la costruzione di altre 283 unità abitative nell’insediamento di Elkana in Cisgiordania. Sulla situazione ascoltiamo Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni Internazionali all’Università di Firenze, al microfono di Marina Tomarro:

R. – Questo è veramente un momento di transizione: nel campo palestinese, Hamas avanza pretese ma ha anche accettato la base di discussione del ’67 per futuri negoziati di pace, che è una mossa moderata; da parte israeliana c’è una manovra di confermare l’occupazione con nuove costruzioni e soprattutto con l’esproprio di un’ampia area vicino a Gerusalemme, ma c’è anche – dopo la delusione dei risultati nella guerra di Gaza – la necessità per Netanyahu di riposizionarsi all’interno del governo della coalizione. Si parla, forse, di un nuovo partito; si parla di primarie anticipate e di elezioni abbastanza veloci; nel frattempo, l’unica cosa sicura è la profonda irritazione degli europei e anche una grande freddezza degli americani. La vera partita però si giocherà in autunno in sede Onu dove, finora, il veto americano ha fatto da argine a qualunque risoluzione che condannasse, o costringesse Israele a determinate mosse. Questa volta, il veto è veramente in pericolo se venisse sostituito da una semplice astensione: una risoluzione contro Israele rischia di passare.

D. – Entro un mese si dovrebbero ottenere i colloqui tra le delegazioni palestinesi e quelle israeliane. Quale situazione si va a definire, secondo lei?

R. – I colloqui ci saranno - si spera - ma non condurranno a nulla perché tutti gli addetti ai lavori, sia le due parti, sia tutti quelli che gli stanno intorno, sanno che al momento non ci sono serie condizioni di negoziato. Gli stessi palestinesi minacciano grandi iniziative se fallisse entro tre anni un serio piano di pace; quindi neanche loro lo vedono nell’immediatezza; è tutto rimandato a domani ed è anche rimandato - nel famoso calendario che guida queste cose – a dopo l’elezione del nuovo presidente americano.

D. – A che punto è il processo di pace?

R. – Il processo di pace è letteralmente fermo, se fa qualche passo è semplicemente un saltello sul posto. Non prenderà nessuna direzione – men che mai quella costruttiva – finché in Israele non ci sarà una coalizione di governo che abbia i numeri per avviare un ritiro, anche parziale; e finché da parte palestinese non ci si sentirà garantiti che qualunque loro iniziativa non porti all’ennesima delusione, il che avrebbe seri problemi di opinione pubblica interna.








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