2014-09-08 11:40:00

In un libro la storia di Comandini, internato italiano dopo l'8 settembre 1943


La vita di Dino Comandini, internato militare italiano deportato nel 1943 in Germania, è cambiata tragicamente dopo gli eventi dell’8 settembre. In quel periodo molti soldati, senza più ordini precisi, vennero deportati nei lager nazisti. Dino Comandini, costretto a combattere la campagna in Grecia, venne poi trasferito nel campo di Friedrichsthal. Ecco la sua testimonianza nel servizio di Elisa Sartarelli:

“Io stavo ad Atene, in Grecia; da lì ci portarono in Germania. Le condizioni del viaggio erano pericolose, eravamo senza mangiare…”.

Poi, il campo di smistamento e infine il lager…

“Era pericoloso: c'era poco da mangiare e niente da mangiare, lavoravamo in miniera a 800 metri sottoterra… La prigionia in Germania è stata una maledizione soprattutto dove stavo io in miniera. Poi trovavi anche chi stava con i contadini e stava bene: lavorava, mangiava. Eravamo schiavi dei tedeschi”.

La storia di Dino Comandini è stata raccontata da Angelo Gregori nel libro “A scuola se piove – Memorie dal lager di un internato militare italiano”:

“Il campo di smistamento era la prima tappa del lunghissimo viaggio che lui fece da Atene fino in Germania. Secondo lui, il viaggio durò un paio di settimane su carri bestiame in cui si stava in piedi, in condizioni impossibili… insomma, il tipico viaggio di tutti i deportati, come gli ebrei, del resto. Il vagone – cosa che mi ha impressionato – era piombato, quindi loro avevano viaggiato quasi sempre al buio. Comunque, avevano sentore della luce, vedevano qualcosa ma era tutto chiuso. Il campo di Trier era un campo di smistamento dove lui scendeva e dove si viveva all’aperto: decine di migliaia di prigionieri, quasi tutti italiani, vivevano all’aperto in attesa di essere destinati all’utilizzazione che il Terzo Reich decideva. Ogni tanto – è impressionante questa cosa – nel campo entravano dei soldati e improvvisamente isolavano un certo numero di persone. Così, i detenuti avevano imparato che quando isolavano un piccolo numero di persone era un buon segno: significava che si andava a lavorare in un’impresa agricola, in ferrovia o cose simili, tutto sommato possibili e positive; quando invece isolavano un numero elevato di persone, purtroppo significava quasi sempre la miniera, perché lì avevano bisogno di grandi numeri. L’esperienza di vivere in quel campo era comunque durissima, anche perché le condizioni per la sopravvivenza erano veramente proibitive: non si mangiava e per mangiare bisognava conquistare un pezzo di pane combattendo con i propri commilitoni. I tedeschi distribuivano il cibo con una jeep, lanciando pezzi di pane al volo. Lui imparò a vendere quello che poteva, perché intorno al campo c’erano civili che erano interessati e facevano delle offerte: una rapa, una fetta di pane. Così, loro scambiavano quello di cui potevano disporre, addirittura le mostrine militari. Aveva un pezzo molto importante che erano gli stivali: erano molto ambiti, quegli stivali di cuoio… Il giorno in cui fu isolato insieme a tanti altri soldati, incominciò il viaggio abbastanza breve verso Friedrichsthal, un campo destinato ad ospitare minatori”.

Il titolo “A scuola se piove” rimanda alla condizione di studente di Dino Comandini: sua madre lavorava a giornata nei campi, e lui poteva andare a scuola soltanto in caso di pioggia, quando non doveva occuparsi del fratellino. Oggi, insieme ad Angelo Gregori, organizza incontri nelle scuole:

“Scuole medie, anche scuole superiori e credo che continueremo. Quello degli internati militari italiani è un tema che non è molto conosciuto, la stessa storiografia l’ha scoperto 10-15 anni fa”.

Dino Comandini, che ha ricevuto la medaglia d’onore il 27 gennaio 2010, riesce sempre ad entrare nel cuore degli studenti:

“Ti guardano in faccia e scoppiano a piangere”.








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