2014-09-14 11:33:00

Libia: Habeshia, sempre più critica la situazione dei migranti


Ennesima tragedia nel Mar Mediterraneo: un battello con almeno una trentina di migranti è naufragato ieri tra Malta e Creta. Le operazioni di soccorso hanno visto coinvolte unità militari italiane, maltesi ed elleniche, che hanno ricuperato almeno due cadaveri e numerosi superstiti, tra i quali una bimba di due anni in gravi condizioni. E incessanti sono gli arrivi, in diversi porti italiani, dei migranti salvati dalla Guardia costiera negli ultimi giorni a sud di Lampedusa. Solo a Crotone su una nave della Marina militare sono giunti nelle ultime ore in 956, di varie nazionalità, che viaggiavano a bordo di due barconi. Molti dei migranti che cercano di arrivare in Europa provengono dalla Libia, dove sono in corso combattimenti tra forze filo governative e milizie integraliste islamiche di Ansar Al Sharia, con centinaia di morti. Mario Galgano ha intervistato don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo:

R. - In Libia, ma anche nei Paesi da cui provengono queste persone, c’è il caos totale. Finché non ci sarà una pacificazione seria ed una ricerca di una soluzione dei problemi alla radice è ovvio che questi flussi di migranti, fuggiti dalla loro terra di origine che cercano di arrivare in altri Paesi, continueranno anche una volta giunti nei Paesi limitrofi, in quelli di transito, fino a quando troveranno un posto dove possano ricostruire una vita tranquilla e serena. E così queste persone si trovano ad affrontare viaggi lunghi, costosi, rischiosi e molti perdono la vita prima ancora di arrivare nel Mediterraneo.

D. - Secondo lei, l’Europa nella sua globalità come dovrebbe aiutare i migranti che cercano di arrivare nel Continente europeo?

R. - La soluzione non è la militarizzazione del Mediterraneo; la soluzione va cercata alla radice. Quindi bisogna lavorare su tre livelli. Il primo: spegnere i conflitti in corso in questi Paesi africani. Nell’attesa che si arrivi alla pacificazione di queste zone, il secondo livello: nei Paesi vicini bisogna creare un contesto di vivibilità per questi profughi, offrire loro un’alternativa di vita con la cooperazione internazionale, con le borse di studio, con diversi meccanismi che possano trattenerli nei territori vicini al loro Paese di origine, senza dover essere costretti ad affrontare lunghi viaggi. Terzo livello: per quei casi più vulnerabili, più a rischio - persone bisognose della protezione internazionale - in accordo con l’Unione europea viene individuato un terzo Paese che li accoglie e che garantisce loro le condizioni di vita di cui hanno bisogno. Se non si passa attraverso questi tre livelli non riusciremo a fermare gli arrivi.

D. - Può raccontarci i casi di profughi, di persone che cercano di venire in Europa che lei sta seguendo?

R. – Io sto seguendo la situazione soprattutto in Libia. Molte persone chiamano dai vari centri di detenzione dove sono tenuti dai miliziani. Mi raccontano che in questi luoghi vivono in condizioni non dignitose per una persona, che vengono continuamente maltrattati; ci sono uomini costretti a prendere parte al conflitto, che vengono usati dai miliziani come “portantini”: portano le munizioni, le bombe... Quindi li mettono in mezzo al conflitto. Molti hanno perso la vita, molti sono feriti ed hanno bisogno di cure. Ci sono persone in condizioni gravi, con ferite andate in cancrena perché nessuno li ha curati, nessuno li porta in ospedale, non possono muoversi. Sono arrivati al punto di amputare la gamba ad un ragazzo; un altro ragazzo ha la schiena spezzata e non sta trovando cure. Quindi sono queste le situazioni che stiamo seguendo.








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