2014-09-15 13:42:00

Vertice di Parigi sull'Iraq: sì a lotta con ogni mezzo contro l'Is


Sostenere la lotta contro il sedicente Stato Islamico (Is) con ogni mezzo compreso quello militare. E’ quanto è emerso dalla conferenza sulla sicurezza e la pace in Iraq convocata dal presidente francese Hollande a Parigi, alla quale hanno partecipato circa 25 Paesi, anche arabi. Ce ne parla Benedetta Capelli:

La dichiarazione finale è forte come forte è la minaccia del sedicente Stato Islamico contro l’Iraq e la comunità internazionale. Alla Conferenza di Parigi hanno partecipato le delegazioni di Onu, Unione Europea e Lega Araba più i ministri di 25 Paesi tra questi Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi, Giordania, Kuwait, Libano, Oman e Qatar. Paesi che hanno dato la disponibilità nella lotta ai jihadisti ma con le dovute differenze. Tutti concordi però a sostenere il governo di Baghdad nella sua battaglia, aprendo ad una adeguata assistenza militare che però non viene specificata. Viene chiarito invece che tale assistenza dovrà essere “in linea con le necessità espresse dalle autorità irachene, nel rispetto del diritto internazionale e senza mettere a rischio la sicurezza della popolazione civile”. Accordo poi sull’idea di un’azione determinata a sradicare in futuro il gruppo jihadista “coordinando i servizi di sicurezza e rafforzando la sorveglianza delle frontiere”. Oggi aprendo il vertice, nel giorno in cui le forze francesi hanno dato il via ai primi voli di ricognizione militare sull’Iraq, Hollande aveva detto che non c’è più tempo da perdere mentre il presidente iracheno Massoum parlava del “genocidio” in corso nel suo Paese. Per l’Iran, che non è stato chiamato a partecipare, la conferenza era da ritenersi “inutile”, respinto poi l’invito degli Usa a cooperare per sconfiggere l’Is. 

I primi voli di ricognizione militare francesi saranno da preludio all'impegno di altri Paesi europei? Benedetta Capelli ha rivolto la domanda ad Alessandro Corneli, già docente di Relazioni Internazionali alla Luiss di Roma: 

R. – Senza dubbio la Francia, fin dalle vicende siriane, ha cercato di ricavarsi uno spazio di iniziativa forte: era disposta anche a un intervento in Siria contro il regime di Assad che poi si è bloccato. Quindi, la Francia cerca di recuperare questo aspetto internazionale, anche per far fronte alle difficoltà interne e, addirittura, personali del proprio presidente, Hollande. In ogni caso, senz’altro, è di esempio ad altri Paesi europei: per quanto riguarda il Regno Unito, non ci sono dubbi che l’impegno c’è, al fianco degli Stati Uniti; più cauta a impegnarsi a fondo è la Germania e, in fondo, anche l’Italia, ma fino a un certo punto.

D. – Intanto, l’Iran ha detto no alla proposta di cooperazione americana in questa partita nei confronti dell’Is. Però, i nodi più spinosi riguardano proprio Teheran e, ovviamente, anche Mosca...

R. – Sì, certo. Per quanto riguarda l’Iran ci sono state dichiarazioni, anche recenti, del presidente Obama e del segretario di Stato Kerry, in base alle quali gli Stati Uniti non avevano intenzione di chiedere una collaborazione con l’Iran. Questo, naturalmente, ha posto gli iraniani nella condizione di dire, “non cooperiamo”. È chiaro che l’Iran è un protagonista della vicenda, sia per i suoi rapporti con tutte le formazioni sciite, sia perché si trova nel cuore della regione; rimane uno spettatore interessato. “Spettatore” per modo di dire, perché naturalmente i gruppi sciiti fanno riferimento all’Iran dal quale ricevono aiuti. Questa è un po’ la situazione di tutti i Paesi dell’area, ciascuno dei quali ha, praticamente, un doppio fronte, se non un triplo fronte nei confronti della minaccia del califfato che interessa non tanto l’Iran quanto piuttosto la comunità sunnita. I vicini nella regione sono sospettosi l’uno dell’altro. Basti pensare al rapporto tra Iran e Arabia Saudita, i due giganti, poi ci possiamo mettere anche la Turchia la quale sta, appunto, alla finestra e non vuole assolutamente impegnarsi.

D. – I Paesi arabi hanno accettato comunque - in linea di principio - di prendere parte alla lotta contro l’Is, ma la loro posizione è diversa, piena di condizioni; lei diceva la Turchia, ma c’è anche il Qatar. Dal ruolo dei Paesi arabi, secondo lei, può venire una svolta nella lotta contro il sedicente Stato Islamico?

R. – Alla formazione di un’alleanza dura e compatta non ci credo, anche perché ciascuno da questa vicenda cerca di ricavare il massimo vantaggio: per esempio, se prendiamo l’Egitto - un Paese arabo che è stato a lungo leader di tutto quel mondo – ha, con il suo nuovo presidente Al Sisi, l’occasione di legittimarsi, è quindi uno dei Paesi più attivi, però considera la minaccia estremista non solo limitata alla regione del nord Iraq e Siria, ma ritiene che sia una minaccia molto più vasta e che quindi arrivi anche al Sinai, praticamente, nel suo stesso territorio quindi vorrebbe finalità più ampie, cosa che non è facile anche per motivi formali, basti pensare al caso della Siria. Le ricognizioni prime ed eventualmente gli attacchi e bombardamenti poi nel nord Iraq sono ancora sotto un’egida internazionale ma per quanto riguarda la Siria se non c’è il consenso dell’Onu è difficile violare la sovranità di questo Paese; tanto più che la Russia si oppone e questo fa vedere come sia anche rischioso, in questo momento, alienarsi un Paese come la Russia, che – comunque sia – è un Paese sicuramente contrario agli estremisti.

D. - Tra l’altro la Turchia teme anche un rafforzamento del Kurdistan iracheno e quindi anche la questione curda potrebbe ricadere a pioggia su Erdogan...

R. – Infatti, in questo momento sono proprio i curdi e i loro combattenti, i peshmerga, che si sono opposti e hanno pagato un forte tributo di sangue ai combattenti dello Stato Islamico. Questo accredita l’immagine del Kurdistan e quindi solletica le sue ambizioni verso l’indipendenza. Siccome, però, l’area curda comprende anche un bel pezzo di Turchia, il governo turco non vuole che i curdi emergano come protagonisti della vicenda, per questo non ha messo a disposizione le proprie basi e lascia ad altri questa incombenza. Quindi, il nemico comune dello Stato Islamico non è poi egualmente comune per tutti quanti. 








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