2014-09-16 08:03:00

Iraq. Sako: bombardare non è soluzione, importante mandato Onu


Il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sako avverte: nella crisi irachena serve un mandato dell'Onu e non solo raid aerei. Il patriarca interviene dopo che, per la prima volta dall'inizio della campagna militare Usa ai primi di agosto contro il cosiddetto Stato Islamico (Is), questa notte i caccia americani hanno colpito nei pressi di Baghdad. Ieri, alla conferenza internazionale a Parigi, il fronte della coalizione anti-Is si è compattato e ha chiesto di lottare "con ogni mezzo necessario" contro la minaccia globale dell'esercito islamico, "compreso un aiuto militare appropriato". Nell'intervista di Fausta Speranza, il patriarca caldeo Sako spiega quanto sia importante un mandato dell'Onu: 

R. – Sì, perché è molto importante. Non si può andare, bombardare così, alla cieca … sarà uccisa anche tanta gente, e la gente che sta lì e si bombarda non sta con l'Is! Bisogna cercare dunque una soluzione più adatta e risparmiare la vita della gente sul luogo, non distruggere le infrastrutture, le case … Perciò penso che il mandato dell’Onu sia molto importante. Io ho chiesto anche che i Paesi arabi prendano una loro iniziativa, perché loro conoscono la nostra situazione, la nostra cultura, la nostra lingua e loro possono anche negoziare con l'Is, senza fare una guerra.

D. – Che altro aggiungere sulla crisi irachena?

R. – Ci vogliono truppe di terra, non solo bombardamenti, perché bombardare non è una soluzione. Credo che sia necessario aiutare anche l’esercito iracheno, l’esercito curdo per dare una vera protezione, affinché questa gente possa ritornare nelle proprie case. Dunque, ci vuole appoggio di tutti e due i processi.

D. – L’Iraq è stato colpito dagli esponenti di questo cosiddetto Stato Islamico, ma non solo: c’è anche l’area della Siria. Dunque una sorte di conflitto che va oltre i confini dell’Iraq …

R. – Sì: il conflitto è più grande dell’Iraq. Poi, ci dobbiamo chiedere: questi gruppi fondamentalisti chi li finanzia, chi li appoggia, da dove vengono? Loro sono di per sé un pericolo e invece di cambiare qui e lì i regimi, bisogna anche provvedere ad una soluzione per questi gruppi che rappresentano veramente una sfida per il mondo intero.

D. – Lei è in Europa; oggi è a Bruxelles, per auspicare un mandato dell’Onu per intervenire in Iraq: è così?

R. – Per presentare alcune soluzioni alla situazione in Iraq: chiedo aiuto immediato umanitario, poi anche la liberazione di questi villaggi e la protezione internazionale per aiutare questa gente a ritornare nelle proprie case.

Degli equilibri in atto dal punto di vista geopolitico, Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori docente di Studi strategici all’Università Luiss:

R. - Il Medio Oriente è profondamente cambiato e la rete delle alleanze formali degli Stati Uniti non corrisponde alla rete dei rapporti di fatto. A ogni buon conto, mi pare di capire, soprattutto con l’entrata in scena della Francia, che il maggiore punto di attrito tra gli americani e l’Arabia Saudita sia stato superato e ci sia un pieno coinvolgimento. Proprio per questo motivo l’Iran è tenuto fuori, la Siria non è integrata all’interno del quadro delle forze che devono ostacolare il califfato islamico, e anche la Turchia viene in qualche modo contenuta. Vedremo se tutto questo basta. Io sono dell’avviso che l’amministrazione Obama mira, in questa fase, soltanto ad attuare una strategia di contenimento. Il problema del Califfato non si risolve se non si pone fine alla guerra in Siria.

D. – L’Iraq ha chiesto proprio raid sul suo territorio: veramente l’Iraq sta nella disperazione di chiedere aiuto?

R. – L’Iraq è in una situazione di frammentazione di fatto, non controlla una parte importante del suo territorio ed è proprio per questo che chiede aiuto alla comunità internazionale: comunità internazionale che reagisce, diciamo, con una soluzione di compromesso, cioè utilizzando il potere aereo che dovrebbe bastare a spezzare le linee di comunicazione del Califfato islamico ma non con truppe di terra. Se questo poi passerà è tutto da vedere perché in Iraq il tessuto sociale ha subito tante e tali di quelle ferite dal 2003 in poi che è molto difficile pensare di poter rimettere i cocci a loro posto in un arco breve di tempo.

D. - Alla conferenza di Parigi ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe voluto sentire e invece non è stato detto?

R. – Non avevo aspettative straordinarie. Mi pare che le fratture siano tali che si è cercato di fare tutto quello che era possibile, si è ottenuto tutto ciò che realisticamente si poteva avere in questa fase. Il problema è che una buona parte dell’instabilità in Medio Oriente deriva, da un lato, dalla necessità dei sauditi e dei loro alleati di contenere la Fratellanza musulmana - ed è per questo che l’insurrezione in Siria non ha vinto – e, dall’altro lato, dalla necessità, avvertita sempre da questi Paesi, di creare ostacoli al processo di riconciliazione tra l’Iran e gli Stati Uniti. E, comunque, in qualche modo, va avanti e molti, me compreso, si augurano che riesca ad arrivare ad una conclusione soddisfacente.

D. - Si parla di un possibile intervento su territorio siriano perché il cosiddetto Stato Islamico controlla un’area irachena e un’area siriana. Ma anche se l’intervento Usa non sconfina su territorio siriano, in qualche modo, il conflitto ha già sconfinato…

R. – Sì, certo. Il punto è – semplificando - che qualsiasi intervento venga fatto contro lo Stato islamico avvantaggia o il regime di Assad - e questo agli americani non necessariamente va male, potrebbe anche andar bene, ma va male per i sauditi - oppure avvantaggia componenti che vengono, per ragioni di comodo, definite “moderate”, che in realtà sono molto vicine alla Fratellanza musulmana. E quindi tutto questo va bene agli americani, va bene al Qatar, va bene forse ai turchi, non va bene in alcun modo, invece, ai sauditi. E’ un po’ il problema della coperta troppo corta.








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