2014-09-18 10:30:00

Scuole salesiane: rivalutare la formazione professionale


Valutare per migliorare o valutare per escludere? E’ il titolo del Seminario di Formazione Europea in corso a Roma su iniziativa del Centro Italiano Opere Femminili Salesiane–Formazione Professionale. Al centro dei lavori le prove Invalsi, cioè il sistema di valutazione degli apprendimenti nel sistema educativo che entrano in vigore da quest’anno e che, sostengono gli organizzatori del Seminario, dovrebbero tener conto della diversità degli indirizzi scolastici scelti dagli allievi. In particolare di chi frequenta i corsi di formazione professionale. Nel corso del Seminario verrà presentato un progetto sperimentale in tal senso, autorizzato dallo stesso Invalsi. Adriana Masotti ha sentito Dario Nìcoli, docente di sociologia economica e del lavoro presso il Dipartimento di Scienze della Formazione della Cattolica di Brescia:

R. – L’obiettivo generale è quello di definire un modello di valutazione degli apprendimento e del sistema, che sia conforme alla natura della formazione professionale. Però, c’è un altro obiettivo che è quello di far conoscere attraverso la valutazione, il valore della formazione professionale che è attestato da tutte le ricerche.

D. – Perché la necessità di criteri di valutazione specifici per chi frequenta i corsi professionali?

R. – I ragazzi della formazione professionale hanno, come diceva don Bosco, l’intelligenza nelle mani, quindi lo spunto per apprendere i contenuti del sapere, anche quelli teorici, è sempre pratico. Quindi, quando si fanno delle prove standardizzate, nazionali, diciamo inerti, con delle domande, dei problemini che non siano collegati ad un compito concreto che mobiliti i ragazzi, questo penalizza la formazione professionale, perché la padronanza linguistica, matematica e scientifica di questi ragazzi è mobilitata dentro i compiti reali. Sarebbero molto più appropriate prove caratterizzate dalla cultura del tipo di istituto con cui abbiamo a che fare. Quindi, l’Istituto Invalsi è già d’accordo con gli Enti di formazione professionale per elaborare delle prove ad hoc che abbiano la stessa equivalenza formativa di quella unificata ma che sottoponga quesiti, compiti e problemi nella veste del compito reale, nella veste del problema concreto.

D. – Diceva poco fa che i corsi di formazione professionale sono una realtà che funziona, oggi, in Italia….

R. – L’istituzione della formazione professionale ha già dei risultati notevoli, perché è il tipo di formazione che perde meno ragazzi, anzi: li recupera. Ha il tasso di dispersione del 12 per cento contro il 21-22 per cento della media delle scuole; inoltre, ha a che fare con un’utenza difficile, quindi raggiunge questi risultati con un’utenza difficile. Ancora: acquista studenti durante gli studi, cioè si iscrivono passando spesso dalla scuola ragazzi che sono demotivati di là e si sentono più orientati, interessati qua. E poi, nel nostro Paese i corsi brevi sono quelli che garantiscono maggiormente lavoro. E’ quindi un modello che funziona. Stiamo costruendo un sistema di valutazione che rispetti la qualità che già ha la formazione professionale, per farla conoscere e per rendere anche i politici responsabili delle loro decisioni. La Regione Campania, ad esempio, non finanzia corsi di formazione, per motivi ideologici, perché ritiene di dover finanziare solo le scuole, perché questi sono centri di formazione del privato-sociale. Eppure, c’è il Centro Don Bosco di Napoli che lavora con i ragazzi affidati dalla Magistratura, e li recupera! Ma non può fare corsi di formazione professionale successivi alla terza media perché la Regione non li finanzia!

D. – Infatti, sono tanti i centri e le scuole di formazione professionale gestiti da realtà appartenenti al mondo cattolico …

R. – Il 70 per cento della formazione professionale è di origine cattolica. In un tempo in cui c’è una crisi educativa, in cui c’è il problema di demotivazione e di perdita dei ragazzi, possiamo permetterci il lusso di perdere o di depotenziare uno strumento come questo?

D. – Per quanto riguarda la valutazione dell’apprendimento in futuro cambieranno le cose, però…

R. – Sì: diciamo che con una prova non basata sulla letteratura antica ma con una prova basata su un testo con cui i ragazzi hanno maggiore familiarità, la comprensione sarà maggiore. Però, non è questo, il punto. Il punto è che la formazione professionale non riuscirà mai a dare ai ragazzi una preparazione culturale, nel senso delle discipline, simile a quella dell’istituto tecnico. Quello che la formazione professionale fa è di formare un lavoratore capace di svolgere il suo lavoro ed essere cittadino del mondo ed avere una coscienza personale e sociale. Questo è il punto. Cioè: che cosa vogliamo, noi, da questi ragazzi? Vogliamo che sappiano agire in modo responsabile e autonomo nel mondo. Questo è quello che vogliamo.








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