2014-09-19 11:53:00

Ebola: Sierra Leone confinata. Testimonianza di Emergency


L’Ebola e' una crisi umanitaria, sociale ed economica che minaccia pace e sicurezza. All’indomani dell’allarme lanciato dall’Oms la comunità internazionale si mobilita: l’Onu sta organizzando una nuova missione in Africa occidentale per coordinare gli aiuti, velocizzare gli interventi e fornire sostegno medico. Un impegno non facile: ieri, almeno sette persone, tra operatori sanitari e giornalisti impegnati in una campagna di sensibilizzazione sul virus in alcuni villaggi nel sudest della Guinea, sono stati uccisi dalla folla inferocita a colpi di machete e con armi da fuoco. Molti in Guinea, afferma una fonte della polizia, pensano che il virus Ebola sia un'invenzione dei bianchi per uccidere i neri, da qui gli episodi di violenza e il rifiuto di qualunque aiuto. Le vittime del virus Ebola in Africa sono salite a 2.622 e la situazione più critica si registra in Liberia, con quasi 1500 morti, e in Sierra Leone dove la popolazione, fino a domenica, è stata confinata nelle abitazioni e sottoposta ad una campagna informativa porta a porta. Gabriella Ceraso ha raccolto, da Freetown, la testimonianza di Luca Rolla coordinatore di Emergency in Sierra Leone:

R. – Questa dichiarazione di una tre giorni di “stay-at-home” della popolazione è iniziata questa mattina, non c’è nessuno per le strade. Diciamo che questi tre giorni dovrebbero permettere allo staff sanitario o a organizzazioni non governative di identificare casi sospetti.

D. – Fa parte di questo piano la campagna formativa. L’informazione, dopo tanti mesi, è ancora fondamentale?

R. – E’ fondamentale, perché l’epidemia è totalmente nuova in questa parte dell’Africa. Se il sistema sanitario della Sierra Leone prima dell’epidemia di Ebola era molto vacillante, adesso è totalmente al collasso. E’ molto importante, a livello della popolazione locale, ma è molto importante anche per la popolazione sanitaria locale, perché hanno forti pressioni dalle famiglie che non vogliono che continuino ad andare a lavorare in ospedale, perché sanno che negli altri ospedali il personale si è infettato e alcuni sanitari sono deceduti.

D. – Com’è il flusso e la quantità di nuovi malati?

R. – Diciamo che le statistiche del governo danno dai 20 ai 30 nuovi casi al giorno. Il 17 settembre, alle 24.00, i dati ufficiali danno 1.585 casi confermati e stimati per difetto. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che in Africa ogni persona abbia un contatto con almeno dieci persone, potenziali malati…

D. – La situazione è, come ha detto il presidente americano, fuori controllo o voi potete dire che invece un controllo e tutto quello che si può fare si sta facendo?

R. – La situazione è fuori controllo per le forze che sono sul campo. Gli ospedali governativi sono totalmente al collasso, la maggior parte sono chiusi e quei pochissimi che sono aperti, lavorano a singhiozzo. Da 36 giorni, l’ospedale pediatrico di riferimento di Freetown è completamente chiuso, quindi i bambini non hanno nessun posto dove poter essere visitati. Le sale operatorie del’ospedale governativo sono chiuse da tre mesi…

D. – Quindi, il fatto che l’Onu e l’Oms si stiano mobilitando e stiano preparando addirittura una nuova missione ha senso? Secondo lei, quali sono le cose che effettivamente servono?

R. – Se l’Onu o le grandi agenzie internazionali manderanno giù esclusivamente medici e infermieri che lavoreranno in strutture governative, una volta vista la povertà di queste strutture governative dopo due giorni scapperanno. Se invece decideranno di costruire in modo molto veloce dei centri di trattamento dell’Ebola lavorando con lo staff nazionale, può darsi che il contenimento del problema sia ancora possibile. E’ fondamentale la possibilità di lavorare con lo staff nazionale, perché chiunque venga in Sierra Leone abbatta almeno la barriera culturale di approccio con le persone della popolazione locale.








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