2014-09-19 14:07:00

Scozia: vincono i "no" nel voto sull'indipendenza da Londra


La Scozia rimane nel Regno Unito. Questo l’esito del referendum di ieri sulla scissione di Edimburgo da Londra. Il 55% dei votanti si è detto favorevole a rimanere nell’Unione, il 45% quello a favorre dell’indipendenza. Ora comunque è previsto l’avvio di un processo di maggiore autonomia per la Scozia, ma anche per il Galles e per l’Irlanda del Nord. E c’è attesa per il discorso che la Regina Elisabetta II farà nel pomeriggio. Da Edimburgo, Giovanni Vale:

Sta prendendo forma nel Regno Unito il dibattito sui nuovi rapporti tra Londra ed Edimburgo, mentre nella capitale scozzese gli abitanti tornano pian piano alla normalità, dopo la lunga notte elettorale. Con la vittoria del "no", la Scozia resta infatti nell’Unione, ma si moltiplicano le richieste di maggiori poteri per il parlamento scozzese. Il primo a essersi espresso subito dopo il voto è stato l’indipendentista Alex Salmond, che ha chiesto al fronte del "no" di rispettate quelle promesse di "devolution" fatte durante la campagna elettorale. Da Downing Street, il premier britannico, David Cameron, ha confermato che un progetto di decentramento sarà subito studiato, non soltanto per la Scozia, ma anche per il Galles, l’Inghilterra e l’Irlanda del Nord. A occuparsi del progetto di riforma, ha detto Cameron, sarà Lord Smith of Kelvin. I nuovi poteri riguarderanno le tasse, la spesa pubblica e il welfare. Dello stesso avviso il primo ministro del Galles, Carwyn Jones, che ha evidenziato l’urgenza di una riforma. “La vecchia Unione è morta e dobbiamo costruirne una nuova”, ha dichiarato Jones. Per il leader dell’Ukip, l’euroscettico Nigel Farage, la riforma dovrà però funzionare anche in senso opposto, per impedire ai deputati scozzesi a Londra di decidere su questioni prettamente inglesi. Nel frattempo, arrivano anche le prime reazioni dall’estero. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha espresso rispetto per la scelta degli scozzesi, così come l’ex presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. Mentre da Madrid, il premier Mariano Rajoy si è detto contento del risultato. Questo pomeriggio si attende infine il discorso della Regina, che dovrà cercare di riunificare un Paese per il momento molto, molto diviso.

 

In che modo gli scozzesi hanno vissuto questo referendum? Lidia O’Kane lo ha chiesto a mons. John Keenan, vecovo della diocesi scozzese di Paisley:

R. – The Scots believe in democracy...
Gli scozzesi credono nella democrazia, credono nel processo politico, credono nell’onestà e nella franchezza. Poi, dopo che la decisione è stata presa, cioè quella del rimanere uniti e di procedere su questa strada, io credo non ci saranno difficoltà eccessive per quanto riguarda il processo di riconciliazione. Certo, alcuni hanno perso e sono amaramente delusi, altri hanno vinto e sono molto sollevati. Ma penso anche che quelli che hanno vinto stiano riflettendo sullo svolgimento della campagna elettorale. Penso che quando tutto questo polverone si sarà attenuato, tutti gli scozzesi saranno orgogliosi dell’andamento del referendum e anche di come la loro regione sia stata guardata da tutto il mondo. La Chiesa sarà coinvolta ovviamente nell’incoraggiare le persone che non fanno parte dello schieramento che ha vinto ad accettare questa decisione, ad accettarsi l’un l’altro, per costruire una Scozia migliore. Ma ho la sensazione che questa campagna elettorale abbia mostrato il modo in cui gli scozzesi sono abituati a condurre diversità di opinioni e dibattiti, e alla fine hanno mostrato il loro volto migliore.

 

Sugli aspetti salienti del referendum per l’indipendenza della Scozia, Giancarlo La Vella ha chiesto l'opinione di Gianni Riotta, del quotidiano La Stampa:

R. – Intanto il risultato in sé, perché un paio di settimane fa il "sì" era passato avanti nei sondaggi e quindi la vittoria del "no", così larga, non era né scontata, né facile. Un netto risultato, quindi, a favore dell’Unione, che però lascia molti problemi aperti: per esempio quelli di una "devolution", diciamo un’autonomia di stampo sudtirolese, a cui certamente adesso la Scozia guarderà.

D. – Un referendum che va a colpire il senso di tradizione che c’è nel Regno Unito, anche in campo politico...

R. – Il risultato unitario ha confermato che, malgrado tutti i problemi e tutti gli acciacchi di 307 anni di Unione, gli scozzesi sono voluti rimanere con la Regina. Io credo veramente che l’intervento di Elisabetta II, uscendo dalla Chiesa, sabato scorso, abbia avuto un importantissimo effetto quando la regina ha detto “Riflettete, riflettete”. Ecco, gli scozzesi hanno avviato una loro riflessione e hanno deciso che era meglio rimanere con Londra.

D. – Praticamente, come si pensa possano cambiare i rapporti ora tra Londra ed Edimburgo, ma non solo, si parla anche di Galles e Irlanda del Nord?

R. – Galles e Irlanda del Nord erano pronti ad andare avanti se ci fosse stata anche una secessione scozzese. Non c’è stata e quindi si fermeranno. Ora, deve esserci uno sforzo intelligente da parte del premier Cameron, che deve guardare con favore all’autonomia scozzese. Allo stesso tempo, però, gli scozzesi devono capire che il popolo ha parlato. In Inghilterra c’è il partito di Farage, che è molto irritato nei confronti degli scozzesi che lamentano una sorta di oppressione da parte degli inglesi. Quindi, tirare troppo la corda da una parte o dall’altra sarebbe esiziale.

D. – Quale ricaduta, per quanto riguarda le varie istanze autonomiste che ci sono in Europa, dopo questo referendum?

R. – Questo risultato sembra dire: “Non fate sciocchezze, non pensate che sia il momento di alzare bandierine autonomistiche, perché la crisi economica e la crisi geopolitica – dalla Libia, all’Ucraina, alla Grecia – è pronta a ricordarvi con grande fermezza che l’unione fa la forza.








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