2014-09-22 10:30:00

Il satellite per monitorare il rispetto dei diritti umani


Cresce l’impiego delle nuove tecnologie per il monitoraggio delle situazioni di conflitto e del rispetto dei diritti umani. In particolare si è intensificato l’utilizzo di foto satellitari che hanno permesso di acquisire prove indipendenti in contesti difficili a causa di guerre e tensioni come Gaza, Ucraina o Corea del Nord. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

R. - E’ da circa 10 anni che Amnesty International utilizza questa tecnologia: lo fa in tutte quelle occasioni nelle quali non riesce ad entrare nei Paesi, perché le viene negato e le viene impedito l’accesso. In secondo luogo, ci sono delle situazioni che dall’alto si vedono meglio e anche ad una ricerca fatta a terra, in modo accurato, potrebbero sfuggire. L’obiettivo di alcuni governi è di non far vedere! E noi dall’alto riusciamo a vedere molto bene, invece, quello che cercano di nascondere.

D. - Come funziona il vostro sistema?

R. - E’ un sistema che è nato negli Stati Uniti e tuttora si basa su società di ricerca e di analisi statunitensi. E’ nato quasi 10 anni fa con un progetto chiamato “Eyes on Darfur”, che aveva proprio l’obiettivo di far vedere dall’alto immagini delle devastazioni che venivano causate dall’esercito del Sudan, dei crimini di guerra e dei villaggi che, in primo set di immagini, risultavano esistenti e, in un secondo set di immagini, - magari scattate due mesi dopo - risultavano inesistenti ovvero c’erano soltanto delle macchie bruciate. Quindi attraverso scatti commissionati in due periodi di tempo, si può comparare - attraverso analisti ovviamente esperti - quello che succede. Si può anche verificare la presenza o meno di unità militari, di pezzi di artiglieria, di armamenti, di armi pesanti… Ovviamente ci vogliono degli esperti militari, che Amnesty International usa naturalmente a scopo civile e a scopo umanitario, che possono individuare esattamente quali tipologie di armi, di veicoli militari ed altro si trovano in quello che poi, se non venisse ingrandito, sarebbe un puntino e basta.

D. - In questo modo cosa siete riusciti a fare?

R. - Quello che siamo riusciti a fare è di far sapere al mondo che cosa stava accadendo in un modo che è oggettivo: non c’è la testimonianza orale o scritta, ma c’è un’immagine che in maniera inoppugnabile descrive cosa sta accadendo. Nel caso del Sudan abbiamo confermato al mondo che venivano commessi - eravamo nella seconda metà dello scorso decennio - crimini di guerra efferati: questo con le immagini,appunto, di intere zone del Darfur in cui non c’era più presenza umana, né strutture civile, villaggi, pozzi, stalle… Poi abbiamo realizzato una ricerca, nel corso degli anni, in due diverse occasioni sulla Corea del Nord. In Corea del Nord, Amnesty International non può entrare: le immagini dal satellite hanno documentato negli ultimi anni, in due fasi diverse, il crescente ampliamento dei campi di prigionia per gli oppositori, per i detenuti politici che si ingrandiscono sempre di più fino ad assumere dimensioni equivalenti ad uno Stato di piccole dimensioni, inglobando anche vallate, villaggi e crescendo di chilometri quadrati di superficie da un anno all’altro. E da ultimo - proprio la settimana scorsa - abbiamo avuto la conferma di ciò che era già stato detto da testimoni oculari nell’Est dell’Ucraina e cioè della presenza di obici e altra artiglieria e veicoli militari russi in alcune zone dell’Est del Paese, ma ben dentro i confini dell’Ucraina.

D. - Questa attività, fondata sui satelliti, in passato era tendenzialmente appannaggio dei singoli Stati, nell’ambito dei rispettivi programmi di difesa: cosa è cambiato nel frattempo?

R. - E’ cambiato che questa tecnologia ha dei costi minori; è cambiato il fatto che le aziende, accanto ad una funzione e una struttura di tipo militare, hanno in parte aperto il loro focus e il loro interesse a obiettivi civili e dunque hanno consentito anche alle organizzazioni non governative di poter utilizzare la loro tecnologia. Quindi direi che questo è stato uno sviluppo importante.

D. - Qual è, secondo voi, il trend di sviluppo: dove può portare l’espansione di questa attività  nel mondo umanitario?

R. - Non sostituirà mai la presenza sul campo, soprattutto per le organizzazioni che hanno una missione che è fondamentalmente esclusivamente umanitaria. Certamente non si può immaginare che le popolazioni che si devono raggiungere per fornire gli aiuti, possano essere raggiunte in modo diverso. Non è possibile non essere sul terreno! Quello che può dare lo sviluppo di questa tecnologia è di poter fare una ricerca accanto alle indagini sul campo e di poterla fare in maniera diversa, soprattutto in quei Paesi in cui non è consentito entrare alle organizzazioni per i diritti umani, ai giornalisti, ai ricercatori. Questo era il caso della Corea del Nord. Fino a quando non usammo questa tecnologia era impossibile fare ricerca in quel Paese. Oggi riusciamo a farla: riusciamo a informare il mondo su cosa accade nello Stato della Corea del Nord. E questo credo che possa essere un contributo ulteriore di conoscenza per la comunità internazionale, per il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che deve prendere delle decisioni riguardo a che tipo di richieste fare al governo di Pyongyang.








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