2014-09-23 14:34:00

Siria. Usa e quattro Paesi arabi bombardano l'Is a Raqqa


Svolta nelle operazione contro il sedicente Stato islamico (Is). La notte scorsa è scattata un’operazione militare congiunta, tra Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Giordania e Qatar, che ha colpito importanti basi dei jihadisti nel nord della Siria, causando la morte di almeno 20 miliziani. Gli attacchi si sono concentrati sulla città di Raqqa, quartier generale del califfato. Sul significato di questa nuova fase dello lotta all’Is, Giancarlo La Vella ha intervistato Lorenzo Cremonesi, esperto di Medio Oriente del Corriere della Sera:

R. – Quello in Siria è stato un attacco annunciato: due settimane fa Barack Obama l’aveva detto. Certo, per il califfato diventa più complicato operare, su questo non c’è dubbio. Anche perché l’impressione, dai primi dati che arrivano dal Pentagono, è che si tratti d’avvero di un attacco massiccio, più massiccio di quello che abbiamo visto in Iraq, almeno nelle fasi iniziali. Però, le notizie che noi avevamo avuto negli ultimi giorni, erano che già le forze del califfato – che, attenzione, sono forze “smaliziate”, abituate alla guerra, specialmente alla guerriglia – avevano cominciato a confondersi con la popolazione, per esempio: avevano abbandonato i palazzi maggiori nel centro di Raqqa, il municipio, le loro basi più visibili... Quindi, in qualche modo, hanno fatto fronte all’eventualità di un attacco aereo massiccio.

D. – L’intervento questa volta di quattro Paesi arabi nelle operazioni contro lo Stato islamico ha un significato particolare all’interno del mondo arabo?

R. – Il significato è quello che, di fatto, preferiva Obama, il quale non voleva che fosse un’operazione prettamente americana. Il rischio è che si trasformi in una guerra che si inneschi nel contesto della grande guerra civile tra sciiti e sunniti, e cioè che le forze sunnite approfittino del potente “ombrello” americano per sfidare ancora una volta l’Iran e le forze sciite.

D. – L’intervento di ieri notte, se prolungato nei giorni, potrebbe poi portare lo Stato islamico a riprendere la guerra, con tutte le sue conseguenze, unicamente a livello terroristico?

R. – L’Is ha mille anime. Potrebbe sì subire “mutazioni genetiche”, trasformarsi. Finora, il califfato si era caratterizzato per una forza estremamente regionale. Adesso, c’è stato l’appello a colpire tutti i cittadini dei Paesi che, idealmente e fattivamente, fanno parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Certamente, questo è uno dei rischi: cioè, che queste forze si trasformino – non più entità territoriale omogenea, come volevano, a cavallo tra Siria e Iraq – si disperdano, tornino in Europa e che assumano caratteristiche simili ad al-Qaeda, cioè diventino un movimento pan-islamico impegnato nella guerra anche contro l’Occidente.








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