2014-09-24 15:42:00

Il Papa al Congresso sulla mediazione: gettare ponti di solidarietà


“Via verso la cultura della pace e la partecipazione comunitaria”. Questo il tema del decimo Congresso mondiale di mediazione, aperto oggi a Genova, con il saluto augurale del Papa. In un messaggio ai partecipanti, Francesco prega Gesù “Mediatore tra Dio e gli uomini”, perché susciti in tutti ad ogni livello della società sentimenti di fratellanza e di solidarietà, per la costruzione di una civiltà nuova, fondata sul rispetto reciproco e sull’amore inclusivo”. 450 i partecipanti all’incontro, giunti da 26 Paesi. Roberta Gisotti ha intervistato il gesuita padre Nicola Gay, presidente della Fondazione San Marcellino, promotrice dell’evento con l’Università di Genova, l’Istituto di mediazione del Messico e l’Università di Sonora:

R. – Mediazione vuol dire tante cose. Nel secolo scorso sono stati riconosciuti molti diritti, ma di fatto, poi, invece che avere tanti diritti, abbiamo molti conflitti... E allora, la mediazione vuole essere un modo attraverso cui si cerca di venire incontro ai diritti di tutti. Ci si mette nelle varie prospettive, si cerca di riconoscere quello che è vero in noi, ma anche quello che è vero in altri, rendendo in questo modo possibile una cultura che sia più della pace e non tanto della guerra. Quindi, un modo "altro" per affrontare delle situazioni di tensioni che fanno parte necessariamente della vita personale, ma anche familiare, sociale e della vita internazionale.

D. – Padre Gay, per la prima volta questo Congresso – giunto alla decima edizione – lascia l’America Latina e approda a Genova…

R. – Questo credo che possa permettere, in un periodo di globalizzazione, di fare in modo tale che ci sia un maggiore interscambio fra le modalità della mediazione, che necessariamente risentono anche delle varie culture.

D. – Dieci anni è una tappa importante per fare dei bilanci sul ruolo della mediazione nel mondo. Quali sono gli ambiti più praticati e dove si sono ottenuti maggiori risultati?

R. – La mediazione, anche in Italia, negli ultimi anni ha fatto molti passi avanti nel campo della giustizia: ci ricordava il procuratore generale di Genova, nel discorso di benvenuto, che proprio nel 2014 sono state fatte varie leggi che invitano, anzi ormai obbligano in vari ambiti, a utilizzare la mediazione. Ci sono poi anche altri campi importanti come l’immigrazione e la scuola, dove però in Italia siamo meno presenti. E poi l’ambito delle carceri, dove abbiamo fatto passi avanti significativi.

D. – Eppure, in Italia ci sono corsi universitari che preparano i mediatori…

R. – Sì, cominciano ad esserci perché la mediazione è un po’ uno stile di vita, potremmo dire, che di fatto poi si deve applicare in vari settori e allora, per esempio per la mediazione penale, per la mediazione familiare e quant’altro ci sono necessariamente dei corsi che permettono di applicare a quel settore specifico questa impostazione più ampia.

D. – Padre Gay, in una società sempre più complessa sul piano multietnico, multiculturale, multireligioso, possiamo dire che l’istituto della mediazione è quasi una necessità?

R. – Direi di sì. Proprio la complessità delle situazioni rende necessarie delle mediazioni: saper cogliere cioè quello che c’è di buono e di vero nelle varie posizioni e arrivare a una proposta di soluzione delle difficoltà e delle tensioni che sia capace di tener conto non tanto della forza di uno o dell’altro, quanto della verità di una o dell’altra posizione.

D. – La Fondazione San Marcellino a Genova è impegnata in un’attività caritativa particolare: l’assistenza ai senza fissa dimora. Quale apporto specifico porterà e sta portando a questo Congresso?

R. – Certamente, questa capacità di mediare ci aiuta, perché insegna cosa vuol dire mediare nel quotidiano, nei singoli momenti, nei vari passi della nostra vita e anche in particolare proprio per delle situazioni - come queste dei senza fissa dimora - estreme, in cui poi conta l’amicizia, la relazione che si crea tra queste persone e gli operatori e i volontari, proprio per cercare di incidere a livello sociale su una cultura di attenzione, che permetta anche di fare delle leggi che aiutino tutti e non soltanto quelli che sono più capaci e che lasciano gli altri indietro.








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