2014-09-25 13:41:00

A Roma, una mensa per i poveri grazie a panettieri e commercianti


Nella chiesa di Sant’Alessio e San Bonifacio a Roma, padre Alberto Monnis ha vinto la sua scommessa: ogni giorno riesce ad offrire un pasto caldo a più di cento persone grazie alla solidarietà di residenti e commercianti, dai panettieri del quartiere Testaccio che donano pane fresco e focacce ai pensionati e agli studenti che dedicano il loro tempo ai più bisognosi. Ma non solo: anche Papa Francesco ha voluto rifornire di scorte alimentari la piccola mensa di padre Alberto. Maria Gabriella Lanza lo ha intervistato.

R. – Noi distribuiamo circa 120 pasti al giorno a persone senza fissa dimora, che vengono da diverse parti del mondo, soprattutto dall’Est dell’Europa, dall’Africa e a un buon numero di latino-americani.

D. – La mensa si regge sulla solidarietà delle persone comuni...

R. – Abbiamo sicuramente aiuti da parte del Banco Alimentare, ma poi ci sono tante persone che lasciano un pacchetto di roba da mangiare - di fagioli, di biscotti - alla nostra porta. Troviamo, poi, magari quello che andando a lavoro ci porta i piatti di plastica, le forchette. Abbiamo i bambini della scuola qui davanti che ci portano i panini che gli avanzano. Abbiamo i poveri stessi che, a volte, ci danno la frutta che loro hanno ricevuto. La settimana scorsa è venuto un povero, che ci ha dato cinque melanzane. Insomma, abbiamo questo movimento di solidarietà, che coinvolge un po’ tutti e i poveri stessi.

D. – Lei ha ricevuto delle scorte alimentari anche da Papa Francesco?

R. – Sì! Questo è successo recentemente. Nel mese di agosto abbiamo ricevuto una telefonata dalla Segreteria di Stato, che diceva che il Papa aveva sentito parlare della nostra mensa e ci chiedeva se fosse possibile mandarci dei viveri da parte sua. Ci ha colto un po’ di sorpresa all’inizio. Abbiamo detto di sì, ovviamente, e a settembre è venuto l'Elemosiniere del Papa, che ci ha portato pasta, riso e un po’ di scatolame, e noi abbiamo dato ai nostri amici della mensa appunto la pasta del Papa.

D. – Offrite aiuti materiali, ma non solo...

R. – Diciamo che molti di loro vorrebbero anche soltanto poter parlare con qualcuno. La scusa, magari, è la medicina o il vestito che gli serve. Qualcuno ci dice che ha un’amica cui dover portare le scarpe. Quasi tutti, però, hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Infatti, uno degli ospiti della mensa un giorno mi ha detto: “Una pasta con un sorriso vale come un’aragosta”. Ed è veramente così. Quindi per quel poco tempo che abbiamo, cerchiamo di ascoltarli e di far sentire loro che sono nostri amici. Cerchiamo anche di non chiamarli mai poveri, se possibile, se non è necessario, ma di chiamarli come gli amici oppure gli ospiti della mensa. Loro ci vogliono bene e anche noi cerchiamo di volergliene.

D. – Quindi tocca ad ognuno di noi dare una mano all’altro?

R. – Sì, “tocca a me”, in qualche modo è un nostro motto. “Tocca a me” non vuol dire che possiamo risolvere tutti i problemi, ma vuol dire che non dobbiamo tirarci indietro. La mensa va avanti, perché abbiamo delle persone che dicono “tocca a me”, che si mettono in gioco, ognuno come può; perché poi non tutti fanno le stesse cose: c’è chi magari viene soltanto una volta ogni tanto; c’è chi crea le condizioni, perché io possa ad esempio dedicarmi a questo. La cosa più bella è quando vediamo che gli ospiti stessi della mensa ricambiano quel poco che ricevono. Recentemente abbiamo avuto un ospite polacco, cui abbiamo dato qualcosa che lui riteneva essere in più. “Ma questo – diceva – potete usarlo per qualcun altro, non lo voglio per me, perché a me tutto sommato non servirebbe”. Ecco, questi per me sono dei grossi gesti, se pensa che sono persone che abitano per strada e che sono ancora capaci di vedere i bisogni di chi ha più bisogno di loro. Questo è un piccolo miracolo, secondo me.








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