2014-10-01 14:31:00

Chiude il mensile "Popoli". Padre Costa: la missione continua


"Popoli", il mensile internazionale dei Gesuiti italiani, diretto da Stefano Femminis, termina a fine 2014 la sua attività, sia nella forma cartacea sia in quella online. L’annuncio è stato dato  dall’editore, la Fondazione Culturale San Fedele, che indica all’origine della scelta l’esiguo numero di abbonati rispetto ai costi da sostenere, nonché la generale crisi economica. Una  decisione dolorosa in considerazione della lunga storia di "Popoli", giunta alla soglia dei cento anni, spiega il gesuita padre Giacomo Costa, presidente della Fondazione San Fedele, che però aggiunge: la missione continua. L'intervista è di Francesca Sabatinelli:

R. – E’ una decisione sicuramente dolorosa, però vorrei precisare che la missione di “Popoli” continua, questo è fondamentale, è importantissimo: continuerà l’impegno. Da una parte, prosegue l’impegno missionario e la riflessione missiologica anche del dopo-Vaticano II, di cosa voglia dire annunciare "ad gentes" nel mondo di oggi il Vangelo. Allo stesso tempo, deve continuare questa attenzione all’internazionalità, all’informazione su quanto avviene nelle varie regioni del mondo, non allineata e libera di provocare, di pensare, di stimolare una riflessione sulla giustizia, sul dialogo, una riflessione sui rapporti tra le culture.

D. – E quali saranno i canali attraverso i quali cercherete di far vivere l’eredità di “Popoli”?

R. – Primo, sicuramente, la rivista “Aggiornamenti sociali” che porterà e cercherà di sviluppare, più ancora di quanto abbia fatto fino ad adesso, questa attenzione per l’internazionalità e così via, con altri strumenti della Compagnia di Gesù. Poi il “Magis”, cioè la onlus che si occupa delle missioni, per portare l’aspetto più strettamente missiologico. E c’è anche la Fondazione Martini, qui, nella stessa sede di “Popoli”, per quanto riguarda il dialogo.

D. – La crisi economica, l’esiguo numero di abbonati, sono tra le ragioni della chiusura di “Popoli” e sono le ragioni che stanno mettendo a rischio anche molta della stampa periodica, a incominciare dalle riviste missionarie…

R. – E’ vero. E’ un punto delicato. Non possiamo negare che le difficoltà siano molte. Da una parte, per la crisi economica, come forze della Chiesa – parlo anche nei termini della Compagnia di Gesù – le risorse da poter investire in progetti non sono infinite e vanno veramente orientate, anche con queste decisioni dolorose. E’ vero anche che il contesto di questa crisi dell’editoria deve far riflettere e deve aiutarci anche a trovare nuovi canali, canali giusti e sostenibili, per fare questo tipo di lavoro, per portare avanti la missione che era quella di “Popoli” e quella di tante altre riviste di questo tipo, nel mondo di oggi. Quindi, trovare strumenti che permettano di più anche una partecipazione di quelli che prima erano visti solo come lettori, ma con i quali bisogna – insieme – cercare di formare una cultura e di promuovere una cultura internazionale, solidale, di giustizia e così via. Quindi, alcuni strumenti ci sono ma c’è moltissimo ancora da riflettere. C’è anche da prendere atto dei cambiamenti proprio nel modo di pensare, di apprendere, nel modo di informarsi. Quindi, questa crisi in noi ha stimolato appunto la domanda se fosse meglio continuare a sostenere una rivista cartacea, con tutte le enormi difficoltà che questo comportava, o se invece dobbiamo accogliere la domanda in maniera ancora più creativa e, nonostante la sofferenza per la chiusura, cercare canali proprio per ripensare in maniera più radicale questo tipo di attività.

D. – E quindi, mi ricollego a quanto già detto da lei: chiude la rivista ma resta lo slogan adottato alcuni anni fa da “Popoli”, una "nuova missione ci aspetta"...

R. – Esattamente. Questa nuova missione che è da assumere nel mondo di oggi. In questo senso, l’eredità preziosissima di 100 anni, in cui tante persone hanno dedicato e continuano a dedicare il loro impegno, deve – non “può”, ma “deve” – trovare oggi veramente delle possibilità perché non si perda la riflessione per una società, a livello internazionale, che tenga presenti le questioni di giustizia, di dialogo e che permetta invece di promuovere le teorie degli scontri tra le civiltà, di portare veramente un aiuto a capirsi e a trovare insieme dei modi per andare avanti.








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